10/23/2011
Sacerdote cattolico birmano costretto a trasportare materiale militare denuncia uso delle armi e saccheggio di una chiesa da parte dei militari
Circa trecento soldati della brigata di fanteria dell’esercito n° 438 e della brigata di fanteria leggera n° 121 sono entrati nel piccolo villaggio di Nam San Yang nello Stato Kachin dove i separatisti sono in lotta per la costituzione di uno Stato tribale Kachin indipendente. Le truppe hanno aperto il fuoco letteralmente sopra le teste dei fedeli della Chiesa cattolica....

Sacerdote cattolico birmano costretto a trasportare materiale militare denuncia uso delle armi e saccheggio di una chiesa da parte dei militari

 Domenica 23 ottobre 2011

 È possibile che la democrazia faccia il suo ritorno in Birmania? Dopo quasi mezzo secolo di brutale regime militare, i cristiani del paese nutrono speranze.

“La Birmania sembra sul punto di voltare pagina”, secondo Mission Network News. “Il brutale regime militare ha lasciato il passo ad un governo civile. Il capo del nuovo governo ha avviato una serie di riforme che sembrano andare oltre le semplici manovre di facciata. È per questo che il popolo birmano osa sperare”.

Tuttavia il regime militare ha governato usando la mano pesante per decenni, lasciando dietro di sé il proprio marchio su tanti aspetti della vita del paese (ad esempio cambiandone il nome in Myanmar), aspetti che numerosi cittadini ancora non hanno accettato. Inoltre un recente incidente solleva dubbi sull’autenticità del cambiamento tra i militari.

Circa trecento soldati della brigata di fanteria dell’esercito n° 438 e della brigata di fanteria leggera n° 121 sono entrati nel piccolo villaggio di Nam San Yang nello Stato Kachin dove i separatisti sono in lotta per la costituzione di uno Stato tribale Kachin indipendente. Le truppe hanno aperto il fuoco letteralmente sopra le teste dei fedeli della Chiesa cattolica, secondo quanto dichiarato da Padre Jan Ma Aung Li, 49 anni, a un giornalista di nome Panida che lavora per l’agenzia stampa Mizzima.

 “Nella giornata di domenica” racconta Padre Jan, “avevamo previsto di cominciare la preghiera alle otto del mattino, ma avendo udito degli spari in lontananza abbiamo deciso di cominciare la messa alle nove. Intorno alle 9:30 le truppe del governo hanno cominciato a sparare verso di noi. Quando abbiamo visto le armi puntate ci siamo stesi al suolo dichiarando di essere semplicemente dei civili. Se non ci fossimo stesi a terra immediatamente avremmo potuto rimanere colpiti. I bambini presenti e una donna anziana piangevano.

“Successivamente i militari hanno ordinato a cinque uomini, tra cui me stesso, di sedersi per essere interrogati. Secondo i militari tutti i maschi del villaggio facevano parte della milizia del popolo. Successivamente ci hanno chiesto dove fossero le armi, ci hanno colpiti alla schiena con le impugnature delle armi e ci hanno preso a calci. Continuavano a chiederci dove fosse il magazzino delle armi e dove avessimo nascosto le bombe. Avevo molta paura. Se le truppe del KIA, l’esercito per l’indipendenza del Kachin, fossero arrivate in quel momento avrebbero cominciato a sparare e saremmo potuti morire. È una fortuna che le truppe del KIA non siano arrivate”.

I militari “hanno poi saccheggiato la Chiesa”, prosegue Padre Jan. “Ci hanno presi a calci e ci hanno malmenato con i calci dei fucili, dopodiché ci hanno legati con del filo metallico e ci hanno trascinati via. Dopo aver camminato per qualche isolato ci hanno ordinato di trasportare alcuni zaini. Abbiamo risposto che non potevamo farlo, dato che avevamo le mani legate. Ci hanno slegato le mani intimandoci di non scappare. Abbiamo cominciato a trasportare gli zaini camminando con pause frequenti. Abbiamo camminato per circa tre ore, dopodiché ci siamo fermati al Monastero di Lawkathama a Nam San Yang. Una volta giunti al Monastero di Lawkathama, ci siamo accorti che membri del KIO – l’Organizzazione per l’indipendenza del Kachin – ci avevano seguiti; è quindi cominciato uno scontro a fuoco”.

 Fortunatamente nessuno è rimasto colpito e il sacerdote insieme ad altri quattro uomini – Mali Naw Taung, Mali Tu Khay, Ah Wu e Shan man Laung Lu – hanno proseguito la marcia insieme ai soldati.

 “Quando siamo arrivati alla chiesa battista, ci hanno chiesto se volessimo tornare al villaggio o accompagnarli. Ci hanno detto che se li avessimo accompagnati ci avrebbero rilasciato una volta giunti in un’area sicura”.

 Tuttavia secondo i soldati se i cinque fossero stati rilasciati nella chiesa avrebbero potuto essere intercettati da altre unità militari, “molto più violente, non potendo quindi garantire cosa sarebbe potuto succedere”. Secondo i militari, “ufficiali militari superiori del governo hanno ordinato l’uccisione di tutti gli uomini di Nam San Yang in quanto informatori e l’arresto delle donne”.

I cinque hanno scelto di essere rilasciati nonostante il rischio e di “tornare al nostro villaggio, evitando di percorrere la strada principale. Abbiamo seguito un percorso nella giungla. Quando stavamo per arrivare presso la mia abitazione appena fuori del villaggio abbiamo visto le nostre case in fiamme. Abbiamo cercato di radunare tutti i cattolici”, ha proseguito il sacerdote, “per evitare che altre unità militari del governo li uccidessero, dopodiché siamo fuggiti verso Laiza. In quel momento erano più di dieci le case date alle fiamme”.

 “Un membro del battaglione di fanteria leggera n° 121 ha incendiato la casa del pastore Aung San. La casa era stata verniciata utilizzando olio esausto, per cui le fiamme hanno preso immediatamente. Non so come abbiano dato alle fiamme le altre case”.

 I soldati “ci hanno ordinato di consegnare un messaggio al KIO”, ha proseguito il sacerdote. “Sono arrivati lì come avamposto militare, per spianare la strada alle truppe. Se il KIO non spara, nemmeno loro sparano, ma se il KIO apre il fuoco sparano anche loro. Sei battaglioni marceranno prendendo la strada da Bhamo, mentre altri tre marceranno da Myitkyina. In totale arriveranno nove battaglioni, con veicoli per il trasporto delle armi per attaccare Laiza, secondo il colonnello Aung Naing Oo, che non ha tuttavia reso noto quando avrà luogo l’attacco”.

 A fine settembre il nuovo governo della Birmania ha rilasciato numerosi prigionieri politici, tra cui il Premio Nobel per la pace e leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, negli ultimi decenni costretta in carcere o agli arresti domiciliari.

 Il regime sembra avere un’influenza molto minore e Patrick Klein di Vision Beyond Borders, riferendo le parole di un leader cristiano, dice: “crede veramente che le cose stiano cambiando; c’è davvero tanta speranza. Credo che il regime abbia compreso di non poter andare avanti isolatamente, ma di avere bisogno del resto del mondo e di doversi aprire”.

 Klein riconosce le numerose sfide ancora aperte. “Bisogna pregare affinché Dio condanni questi uomini e li rimuova da queste posizioni di autorità, che il Signore faccia sì che la Sua chiesa si sollevi sempre di più per evangelizzare e per sfruttare le opportunità che Dio le ha dato all’interno del paese per raggiungere il suo popolo”.