La protesta delle donne birmane contro i disegni di legge che limitano i matrimoni interreligiosi
di Elena di Padova
Un gruppo di 97 organizzazioni birmane, costituito per la maggior
parte da associazioni di donne, ha denunciato con un appello dello
scorso 6 maggio una proposta di legge sui matrimoni interconfessionali.
Avanzata inizialmente nel luglio scorso da un gruppo di monaci fondamentalisti e appoggiata dal Presidente Thein Sein, la legge obbligherebbe le donne buddiste a sposarsi unicamente con uomini dello stesso credo.
I partner di altre fedi religiose dovrebbero convertirsi al buddismo e
ottenere l’autorizzazione al matrimonio da parte dei genitori della
sposa. Infrazioni potrebbero essere sanzionate con dieci anni di
reclusione e la confisca dei beni.
La legge, frutto di una
crescente campagna di odio contro la minoranza musulmana, fa parte di un
più ampio pacchetto chiamato “Legge per la protezione della razza
nazionale” che prevede la messa al bando della poligamia, misure di
controllo della popolazione e limitazioni alla conversione religiosa.
A
proporre la legge è stata l’Organizzazione per la protezione della
razza e religione nazionali (Opnrr), con forti legami con esponenti di
governo e capeggiata dal monaco Tilawka Biwuntha. I membri del Opnrr, un
tempo in prima linea del movimento democratico, sostengono che la legge
rappresenti una soluzione ai frequenti episodi di violenza fra buddisti
e musulmani verificatisi a partire dalla metà del 2012. Questi,
principalmente istigati dalla propaganda anti-musulmana, hanno finora
lasciato almeno 350 vittime e circa 140.000 sfollati soprattutto
musulmani.
I musulmani rappresentano, secondo le stime ufficiali, circa il 4% della popolazione birmana.
L’Opnrr ritiene che
la legge sia necessaria per controllare la crescita della popolazione
musulmana e proteggere le donne dalle conversioni forzate. A
proposito, uno dei suoi principali leader, Ashin Wiratu, (che si è
aggiudicato la copertina del Time dal titolo “Il Volto del Terrore
Buddista”), ha dichiarato: “stanno prolificando troppo, rubando le
nostre donne e violentandole [....] Vogliono occupare il nostro paese,
ma non glielo permetteremo. La Birmania deve rimanere buddista (1)”.
Il Movimento 969 (numero simbolico buddista) ha condotto campagne di boicottaggio dei negozi musulmani
incitando in alcuni casi attacchi contro di loro. Il Movimento 969 ha
avuto un tale seguito da riuscire a raccogliere nel febbraio scorso più
di un milione di firme per chiedere il varo della legge.
Un
gruppo di associazioni di donne aveva risposto all’iniziativa dei monaci
con una vasta campagna di mobilitazione dei vari segmenti della società
civile producendo anche il poster “Women are Wise"(2). Il loro appello è
riuscito a raccogliere nel giro di pochi mesi 97 adesioni che sono
passate in circa dieci giorni a 150.
Nell’appello le associazioni
hanno dichiarato che la legge violi la libertà di scelta delle donne ed
“è basata sulla convinzione discriminatoria che le donne sono più deboli
a livello fisico e mentale”. La dichiarazione delle associazioni ha
denunciato il mancato rispetto, implicito nella legge, della capacità
delle donne di pensare razionalmente e di prendere decisioni.
La
donna birmana si trova a rappresentare la principale depositaria dei
valori della religione buddista praticata da circa l’89% della
popolazione birmana. L’appello delle associazioni afferma a proposito
che la proposta di legge: “ripone esclusivamente sulle donne la
responsabilità di salvaguardare la razza, la religione, la cultura e
tradizioni”. In un’intervista una delle attiviste più di spicco e
coordinatrice del Gender Equality Network, May Sabe Phyu, ha aggiunto
che la legge nasconde la convinzione che l’identità nazionale necessiti
la soggiogazione della donna (3).
Invece che proteggerla, come
dice Wiratu, la donna buddista si trova ad essere discriminata, subendo
un diverso trattamento sia degli uomini che delle stesse donne di altre
minoranze religiose. Le donne buddiste con partner musulmani sono già state prese di mira:
lo scorso aprile nella cittadina di Pegu una folla impazzita ha
incendiato il quartiere di una ragazza buddista per punirla della sua
relazione con un musulmano.
In questo delicato processo di
transizione democratica del paese, la donna birmana si trova quindi ad
essere uno strumento di odio e di propaganda da parte del governo contro
le minoranze etniche e religiose. Lo scorso gennaio l’associazione
Women’s League of Burma aveva denunciato nel suo rapporto “Same
Impunity, Same Patterns” l’uso sistematico dello stupro da parte dei
militari birmani come strumento di guerra contro le minoranze
etniche(4).
Secondo il parere delle associazioni firmatarie dell’appello,
la legge oltre a rallentare il processo di pace e il dialogo
inter-religioso, è solo un pretesto per sviare l’attenzione da altre
tematiche di importanza cruciale per il paese e in particolare le
elezioni del 2015. Infatti, vari gruppi di opposizione guidati dalla
Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), il partito del Premio Nobel per
la Pace Aung San Suu Kyi, sono da tempo impegnati in
una campagna per riformare la costituzione prima delle elezioni e per
ridimensionare il potere dei militari che occupano il 25% dei seggi
parlamentari. La stessa Aung San Suu Kyi, seppure abbia condannato la
legge perchè viola i diritti delle donne, non ha preso posizioni di
denuncia verso le discriminazioni ed attacchi contro i musulmani,
atteggiamento probabilmente dovuto alla paura di perdere consenso in
vista delle prossime elezioni.
Le associazioni hanno chiamato il
governo a dare priorità ad altre azioni più importanti per il cammino
democratico del paese come la riforma costituzionale e il processo di riconciliazione nazionale.
Queste hanno inoltre suggerito azioni più efficaci per la promozione
dei diritti delle donne come la registrazione obbligatoria dei matrimoni
e il varo di una legge contro la violenza sulle donne e contro i
matrimoni precoci.
Inoltre, le associazioni hanno denunciato che
la legge è in violazione della Convenzione sull’eliminazione di ogni
forma di discriminazione contro la donna (Cedaw) di cui la Birmania è
firmataria. Come ha anche sottolineato Human Rights Watch, la legge è
contraria all’articolo 16 della Cedaw che sancisce “lo stesso diritto di
contrarre matrimonio” per uomini e donne. Negli ultmi giorni attivisti
e attiviste hanno subito minacce di morte.
I rappresentanti del
Opnrr non hanno tardato a rispondere all’appello definendo “traditori” i
suoi firmatari. Il portavoce del Presidente Thein Sein ha dichiarato di
aver istruito la commissione legislativa al fine di assicurare che la
legge non arrechi pregiudizio ai diritti delle donne. Il Vice Ministro
degli Affari Religiosi, Maung Maung Htay, che sta al momento esaminando
la proposta di legge, aveva promesso di invitare i rappresentanti
dell’opinione pubblica per dare suggerimenti sulla bozza prima di
sottoporla al Parlamento, la cui sessione è cominciata il 28 maggio. A
proposito, il 13 maggio gli stessi firmatari avevano domandato un
incontro per discutere la legge in una lettera a Thein Sein, richiesta
finora rimasta inascoltata (5).