9/8/2009
La Cina fa pressioni sull’oleodotto birmano – Articolo di Francis Wade
Democratic Voice of Burma – Attivisti birmani hanno chiesto oggi alla Cina di fermare la costruzione in Birmania di gasdotti e oleodotti, che minacciano i civili, il loro ambiente e la sicurezza delle società coinvolte.              

Questo mese la Cina comincerà a lavorare su un sistema di pipelines che, dal Golfo del Bengala, passeranno nel cuore del Birmania, per raggiungere la regione dello Yunnan.
Gli attivisti hanno però avvertito che i costi umani e ambientali potrebbero essere enormi, con l’intensa militarizzazione di tutta la lunghezza della pipeline e il probabile impatto sull’ecosistema.                      

Riferendosi alle società coinvolte nel progetto, compresa la sudcoreana Daewoo International, i gruppi di attivisti hanno ricordato che l’instabilità dell’area interessata può polverizzare l’investimento e minacciare la sicurezza delle persone.
                            
Corridor of Power, un rapporto rilasciato oggi dallo Shwe Gas Movement (SGM), che sta monitorando il progetto, afferma che le società coinvolte “affrontano seri rischi finanziari e di sicurezza”.                            

“Un riaccendersi del conflitto tra il regime e i gruppi che avevano firmato il cessate il fuoco - e che si trovano lungo il tracciato - e un business environment  imprevedibile, che può arbitrariamente appropriarsi della proprietà e delle infrastrutture… tutto questo minaccia gli investimenti” afferma il rapporto.
                                             
Il documento avverte anche il rischio di un “disastro nelle relazioni e nell’immagine pubblica che risulta dalla complicità in violazioni dei diritti umani e distruzione ambientale".                    

Le accuse di uso del lavoro forzato e di dislocamento forzato hanno già macchiato l’immagine del progetto, che è stato strenuamente promosso dal governo birmano. Il ritorno dalla vendita del solo gas naturale è stimato in 29.2 miliardi di dollari.              

Secondo il rapporto, circa 13.200 truppe sono già state posizionate lungo il tracciato della pipeline, mentre una base navale controlla il porto in acque alte e terminal dell’oleodotto.                  

Una volta completato, la Cina non dovrà più dipendere dagli Stretti di Malacca, controllati dagli Stati Uniti, dietro Singapore, per le rotte che portano il petrolio mediorientale via nave. Gli angusti stretti sono già pesantemente congestionati.                                         

La sete energetica cinese è decollata la decade scorsa, insieme a quella della vicina Thailandia, che si pensa riceverà circa l’80% del suo gas dalla Birmania.                   

La Birmania è il decimo Paese al mondo per riserve di gas, ma il suo consumo di elettricità è il 5% di quello della Cina e della Thailandia, dice il rapporto.
                   
Il reddito proveniente dalla vendita dell’energia non viene spesso neanche visto dai cittadini birmani, che soffrono di continui blackout. E’ stata la mancanza di carburante ed elettricità che ha acceso la miccia della protesta del Settembre 2007.                       

Si pensa che il governo destini tra il 40% e il 60 % del budget annuale all’esercito, lasciando le briciole al settore della sanità che nel 2000 è stato giudicato dalla World Health Organisation come il secondo peggiore al mondo.        


(Puoi leggere l'articolo originale su Democractic Voice of Burma)


(8 Settembre 2009)