07/07/2015
La Confederzione Sindacale birmana CTUM accetta la proposta di salario minimo e chiede agli imprenditori di lavorare per un aumento della produttività
30 imprese dell'abbigliamento a Rangoon pronte a chiudere e a lasciare a casa 70.000 lavoratori

La confederazione dei Sindacati Birmani, CTUM, ha sollecitato gli imprenditori ad accettare la proposta del salario minimo emersa da un lungo lavoro di confronto tripartito, suggerendo loro  che nella definizione del salario si prenda in considerazione le opportunità economiche dei prossimi due o tre anni.

Lanciando agli imprenditori un appello alla collaborazione con i lavoratori per un incremento della produttività invece di opporsi alla proposta di salario minimo, la CTUM ha sottolineato che questa decisione faciliterebbe l’adattamento del paese alla situazione in evoluzione nei prossimi anni.

Cinque federazioni dei lavoratori birmani, venerdì scorso hanno espresso parere positivo sulla proposta di salario minimo avanzata dal governo, rifiutandosi di accettare ulteriori negoziati. Le federazioni sindacali hanno chiesto la formazione di un comitato socio-economico che dovrebbe includere i rappresentanti del governo, degli imprenditori e dei sindacati. Il 29 giugno il governo, dopo una consultazione  durata oltre un anno, con imprenditori e sindacati, aveva deciso di fissare il salario minimo a 3.600 Kyats al giorno (circa 3.27$)per tutti i lavoratori del paese. Ciò nonostante i rappresentanti delle imprese dell’abbigliamento si sono opposti a tale proposta affermando che in caso questa fosse accettata le imprese sarebbero costrette a dover chiudere a settembre prossimo. Secondo l’Associazione degli Imprenditori dell’Abbigliamento, oltre 30 imprese di Rangoon con capitale straniero hanno espresso la volontà di chiudere i battenti a settembre, se passasse tale proposta. La chiusura di queste aziende creerebbe circa 70.000 disoccupati.

In un messaggio alla radio il Presidente della Repubblica Thein Sein ha avvisato che un salario minimo troppo alto avrebbe come conseguenza l’aumento dei costi di produzione e conseguentemente un blocco degli investimenti esteri. Se, al contrario, fosse troppo basso i lavoratori che stanno lottando per la sopravvivenza scenderebbero inevitabilmente per le strade per protestare.