continuano gli attacchi ai luoghi di culto e ai rifugiati negli Stati etnici
La giunta militare ha distrutto almeno otto chiese. I leader cristiani avevano chiesto ai soldati di risparmiare i luoghi di culto, ma il loro appello non è stato ascoltato.
“Gli abbiamo già detto che nelle nostre chiese non si nascondono gruppi armati, ma solo persone che cercano rifugio [dai combattimenti]”, ha detto un sacerdote cattolico che durante le prime fasi del conflitto aveva preso parte ai colloqui con gli ufficiali militari. “Sanno che ospitiamo anziani, bambini e donne. La loro è solo un'azione premeditata e intenzionale”. Secondo la popolazione locale i militari si sono anche accampati all’interno delle chiese.
Il 25 maggio, a seguito di un assalto alla chiesa del Sacro Cuore a Kayan Tharyar che ha ucciso quattro persone, il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, ha rilasciato una dichiarazione chiedendo alla giunta di non prendere di mira i luoghi di culto. Gli attacchi agli edifici religiosi sono continuati però senza sosta. Il 6 giugno l’esercito birmano ha bombardato la chiesa di Maria Regina della Pace a Daw Ngan Kha, nello Stato Kayah.
Il 13 giugno un gruppo di soldati ha fatto irruzione in un convento cattolico nell'arcidiocesi di Mandalay e ha interrogato i sacerdoti per presunti legami con il movimento di resistenza al colpo di Stato. Dopo essere stati portati in una stazione di polizia, sono stati interrogati per quasi 24 ore, ha raccontato, in forma anonima, uno dei sacerdoti.
Il 15 giugno le forze dell’esercito hanno dato alle fiamme il villaggio di Kin Ma, nella regione di Magway, al centro del Paese, uccidendo almeno due persone anziane rimaste intrappolate nella loro abitazione. L’hanno raccontato i residenti locali alla Reuters, mentre la tv di Stato del Paese ha detto che ad appiccare il fuoco sono stati dei “terroristi”. Per i media di regime, i giornali che hanno riportato notizie diverse stanno “complottando per screditare i militari”.
Secondo gli abitanti di Kin Ma, i soldati hanno incendiato il villaggio dopo scontri tra militari e milizie locali che si oppongono ai generali golpisti. Delle oltre 200 case che componevano il villaggio, ne sono rimaste una trentina; la maggior parte della popolazione si è rifugiata nelle foreste per sfuggire alle violenze.
I giorni precedenti le forze della giunta avevano fatto irruzione in alcuni villaggi nella zona di Tabayin e aperto il fuoco sui civili dopo aver staccato l'elettricità. Secondo quanto riportato da The Irrawaddy i soldati volevano forse vendicarsi per l'uccisione delle figlie di un informatore.
da AsiaNews