24/05/2009
Il 19 giugno Aung San Suu Kyi compie 64 anni. Quasi sicuramente li compirà in carcere - Articolo di Cecilia Brighi
Tratto da Articolo21 - “Se Aung San Suu Kyi rimane in carcere, dovremmo avere il coraggio di incarcerare simbolicamente la giunta militare birmana circondando le ambasciate birmane in tutti i paesi” così ha aperto il suo intervento  al Congresso CISL, Maung Maung, Segretario Generale del sindacato clandestino birmano FTUB e Segretario Generale delll’NCUB, la più grande alleanza di organizzazioni democratiche birmane.

Un Congresso che la CISL ha dedicato ad Aung San Suu Kyi e alla lotta e al coraggio di una donna e di un popolo che lotta da anni per la democrazia e I diritti umani.


Oggi, ancora una volta  la giunta militare sfida la comunità internazionale con l’arresto della leader birmana Aung San Suu Kyi, a pochi giorni dalla scadenza dei suoi arresti domiciliari  che scadono il 27 marzo. Ancora una volta la sfida serve a verificare la serietà delle parole delle istituzioni internazionali e dei governi. 

E’ noto che l’arresto della Aung San Suu kyi serve a isolare e zittire la leader, come tutta l’opposizione ormai in carcere, in vista delle elezioni del 2010 e a verificare se le istituzioni internazionali sono tigri di carta o meno. Elezioni importantissime, quelle del prossimo anno, perché la giunta possa rifarsi il make up di fronte al mondo e ai rampanti  interessi  economici e politici di governi e imprese. Forse i militari birmani nel tastare sfrontatamente il terreno sanno già che  il rischio  per loro non è poi così tanto alto. E forse non hanno tutti i torti nel farsi beffa della comunità internazionale. Alte in questi giorni sono state le note di condanna. 

Una sfilza di primi ministri e di Ministri degli Esteri hanno fatto dichiarazioni alla stampa. Ma chi chiedeva di superare i rituali e di passare ad una azione più incisive, (ovviamente non violente) ancora oggi rimane deluso.

Basta leggere lo scarno comunicato emesso a conclusione del Consiglio dei Ministri Europeo tenutosi il 18 maggio scorso: “Il Consiglio ha valutato gli ultimi sviluppi nel paese. Ha condannato duramente l’arresto della leader dell’opposizione Daw Augn San Suu Kyi alcun giorni prima della scadenza prevista dei suoi arresti domiciliari e ha chiesto il suo immediato rilascio. Il Consiglio ha richiamato che all’atto del rinnovo delle misure restrittive della UE contro la Birmania nell’arile 2007 aveva sottolineato la sua disponibilità a emendare o a rafforate tali misure alla luce degli sviluppi nel paese. Il Consiglio ha chiesto ai suoi organismi preparatori di esaminare ulteriori passi. Ha anche concordato di aumentare il dialogo con I paesi asiiatici sulla Birmania.”

Ovviamente questa  dichiarazione veramente “essenziale”  mostra quanto l’Europa sia divisa. Le sanzioni europee, in atto solo dal marzo 2008 sono come un colabrodo perché non sono state adottate contemporaneamente adeguate misure di monitoraggio per prevenire  la loro violazione, soprattutto attraverso la triangolazione nella importazione di prodotti. Triangolazione che passa ancora oggi soprattutto da Thailandia e Cina. Ricostruire la provenienza  dei prodotti importati sarebbe fondamentale. Quali possono essere i passi successivi non è dato sapere.

Le organizzazioni democratiche birmane, tra cui il sindacato, da sempre chiedono non solo un monitoraggio stretto delle sanzioni, ma soprattutto il loro ampliamento per includere soprattutto i settori assicurativi e finanziari, impedendo alla giunta e alle imprese a questa legate di effettuare transazioni in euro. Questo tipo di sanzione è stato adottato con successo dal governo degli Stati Uniti  impedendo così che  la giunta e i loro amici possano effettuare  transazioni in dollari. Una decisione semplice che contribuirebbe a strangolare economicacmente la giunta e a costringerla ad un tavolo di dialogo. Mentre il blocco delle assicurazioni e riassicurazioni paralizzerebbe aerei, navi e imprese che non avendo più la copertura assicurativa non potrebbero più muoversi, almeno fino a quando non si riorganizzassero. La maggior parte del mercato assicurativo e riassicurativo è in Europa e questo garantirebbe una efficacia della decisione. Alcune grandi imprese assicurative come l’inglese Lyodd, sembra si siano per altro dichiarate disponibili.

Se guardiamo poi al Consiglio di Sicurezza, questo finalmente si è pronunciato, Ma anche qui, vista la gravità della vicenda ci si sarebbe aspettato la approvazione di una risoluzione urgente. In realtà si è riusciti ad adottare solo un comunicato stampa di condanna. Altro segnale preoccupante sta nel fatto che questo comunicato non è stato letto  dal Presidente di turno del consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore Russo a significare i problemi e le divisioni all’interno di questo organismo. Il comunicato usa un linguaggio diplomatico chiaro. Esprime la “preoccupazione” del Consiglio sull’impatto politico dei recenti sviluppi circa Aung San Suu Kyi,  sottolinea l’importanza del rilascio di tutti i prigionieri politici, però senza menzionare esplicitamente la liberazione della leader birmana.  Da ultimo è positivo il richiamo alla necessità che il governo birmano crei le condizioni necessarie per un dialogo genuino con l’opposizione birmana. 

Ovviamente questo risultato è il frutto della cautela di  Cina e Russia  che vogliono a tutti i costi preservare i loro rapporti priviliegiati con la giunta. Il governo cinese in questi giorni, ha infatti  fatto naufragare su questo punto il dialogo bilaterale con la UE. Il portavoce del Ministro degli esteri cinese   al termine dell’incontro ha  dichiarato alla stampa  che “ le questioni della Birmania dovrebbero essere  decise dal popolo birmano. Come vicini della Birmania speriamo che le parti principali in  Birmania utilizzino il dialogo per raggiungere la riconciliazione, la stabilità e lo sviluppo.” Quindi nessuna interferenza, e chiaramente nessuna menzione della necessità di costruire un percorso verso la democrazia.

Tutto ciò mostra quanto sia difficile la strada per il rilascio di Aung San Suu Kyi .

La giunta militare ovviamente sta a guardare. Avrebbe potuto chiudere il processo in un giorno solo, invece sta tastando le reazioni internazionali. Se la comunità internazionale si mostrasse decisa forse qualche cosa potrebbe cambiare e qualche spiraglio potrebbe aprirsi. Intanto la giunta sta cercando di infangare l’immagine della leader birmana, con una serie di provocazioni inaccettabili di cui non vale neanche la pena parlare e dargli risonanza.

La prossima settimana, proprio nei giorni che segnano la  teorica scadenza degli arresti domiciliari si riunisce ad Hanoi il vertice Asem (europa Asia) e successivamente il vertice Europa Asean. È importante che i governi chiedano  urgentemente l’invio in Birmania di Ban ki-moon segretario Generale dell’ONU, dell’inviato speciale della UE Piero Fassino e del Segretario generale dell’Asean Surin, con l’obiettivo di chiedere l’immediato rilascio della leader birmana. 

Ovviamente tale missione è estremamente delicata e vanno identificati chiaramente gli obiettivi e soprattutto gli strumenti con cui cercare di raggiungerli. Mentre l’Onu dovrebbe immediatamente chiedere al Conisiglio di Sicurezza la introduzione di un embargo generale sulle armi, la UE dovrebbe  più chiaramente indicare la propria strategia: se su  alcuni punti  questa  può essere condivisa, soprattutto per quanto riguarda la richiesta (ovvia) del rilascio immediato di Aung San Suu Kyi, degli altri prigionieri politici e l’avvio del dialogo tripartito per la riconciliazione, su un punto la posizione UE strategia appare a dir poco ingenua.

La UE chiede alla giunta infatti, come terzo elemento strategico, un quadro di garanzie chiare rispetto al processo elettorale ed una legge elettorale in linea con gli standard internazionali e la presenza di osservatori internazionali alle elezioni. Ma di che elezioni parla la UE? Eppure tutti sanno che le elezioni del 2010 servono alla giunta solo per  ricostruire uno straccio di legittimità internazionale. Un finto parlamento e una finta democrazia. Le elezioni serviranno a votare un parlamento e un sistema istituzionale fondato su una costituzione decisa dalla giunta per la giunta, a porte chuse impedendo la partecipazione della opposizione. 

Sarebbe quanto meno ingenuo pensare, soprattutto dopo il referendum dello scorso anno, nel corso del quale la gente è stata costretta a votare secondo il volere della giunta, che basti una legge elettorale o alcuni osservaori internazionali a garantire che si volti pagina.

Il segretario del sindacato birmano, Maung Maung  in questi giorni sta avendo una fitta rete di incontri. Ha potuto illustrare le richieste e la strategia  delle organizzazioni democratiche birmane in un incontro con l’Onorevole Craxi, sottosegretaria agli Esteri, all’inviato speciale della UE Piero Fassino, al Presidente della Provincia di Roma Zingaretti.

Maung Maung ha sottolineato come  “oltre alla liberazione della Aung San Suu Ki e degli altri prigionieri politici, prima delle elezioni vi deve essere una revisione congiunta della costituzione. Questa revisione deve cancellare il diritto dei militari di nominare  il 25% del parlamento, che i prigionieri politici e gli ex prigionieri politici non possano essere eletti e non possano votare, che  si costituisce uno stato centralizzato, mentre il paese è composto da stati e minoranze etniche che da sempre chiedono un sistema federale che li garantisca.”  “ la revisione della costituzione viene richiesta dal governo e dal parlamento in esilio e da tutte le organizzazioni democratiche tra cui il sindacato. L’Unione Europea deve raccogliere queste  richieste che provengono da organizzazioni rappresentative.”  

Il sindacalista birmano ha chiesto al governo italiano di appoggiare l’allargamento delle sanzioni europee, di sostenere la richiesta di deferire la Birmania alla Corte Internazionale di Giustizia per la violazione del lavoro forzato e soprattutto di fare pressione sulla giunta militare perché accetti una missione urgente del Segretario generale dell’ONU, di Piero Fassino, e del Segretario generale dell’Asean, perché come dopo il ciclone Nargis, questi interventi possono sbloccare la situazione. 

“Solo a fronte di segnali tangibili come la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici e l’apertura del dialogo con tutte le parti, alcune delle sanzioni potrebbero essere rimosse”. Maung Maung ha anche ribadito la richiesta di incremento delle sanzioni europee mirate.

Insomma, la situazione attuale impone un cambiamento deciso di marcia. Impone il superamento degli egoismi nazionali. I governi, primo tra tutti quello italiano e i parlamenti dovrebbero finalmente da un lato rafforzare le sanzioni mirate, e dall’altro il dialogo negoziale con Cina, India e Russia  sulla base di obiettivi chiari.

La diplomazia sembra invece a corto di idee e di proposte e soprattutto sembra sempre trovare ostacoli  insormontabili alle proposte lanciate da una opposizione birmana che lavora insieme e che mantiene un approccio non violento.

Il 27 marzo data di scadenza degli arresti domiciliari è dietro l’angolo. Il 19 giugno Aung San Suu Kyi compie 64 anni. Quasi sicuramente li compirà in carcere.  Chi sa se al suo posto agli arresti domiciliari ci fossero i leader politici che hanno permesso un comunicato europeo così “scarno” o gli ambasciatori del Consiglio di Sicurezza? Bisognerebbe chiedergli di chiudere gli occhi per un minuto e cercare di mettersi nei panni di una donna, sola in una grande casa da anni. Sola contro il più grande esercito del sud est asiatico. Di mettersi nei panni di una donna coraggiosa e malandata in salute.

Per ora chi legge dovrebbe provare questo piccolo esercizio di pazienza: chiudete gli occhi per un minuto. Un solo minuto immaginate di essere agli arresti da anni, senza poter vedere i vostri figli, senza aver potuto vedere vostro marito morente, senza  poter andare al cinema, vedere la televisione, amare, parlare, uscire  per vivere. Immaginate tutto ciò mentre qualcuno vi legge il comunicato dei ministri europei. Cosa provereste?


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