05/10/2009
“La legislazione birmana viene sempre utilizzata contro i lavoratori”- L'ITUC intervista Maung Maung (FTUB)
Confederazione Internazionale dei Sindacati– CIS-ITUC (Bruxelles, 2 ottobre 2009):

Sono trascorsi due anni dalla Rivoluzione Zafferano in cui decine di migliaia di birmani si riversarono per le strade del paese. Da allora nulla è cambiato: il lavoro forzato e la repressione delle libertà fondamentali costituiscono ancora parte della realtà quotidiana della Birmania.

Maung Maung, segretario generale della FTUB, la Federazione dei Sindacati birmani, spiega come i sindacalisti proseguano comunque nella propria battaglia agendo al meglio delle proprie possibilità in questo clima di oppressione.


Maung Maung - Fonte: ITUC
In Birmania la FTUB è stata messa al bando, ma potete contare su una rete clandestina di attivisti. Che tipo di azione stanno portando avanti nel paese?

In questo momento i nostri membri stanno raccogliendo prove di casi di violazioni dei diritti sindacali, diritti che in Birmania non esistono. Inoltre prosegue la battaglia contro il lavoro forzato tramite l’organizzazione di brevi corsi di formazione nei quali viene spiegato cosa significhi lavoro forzato e come sia possibile denunciare i casi all’ILO. Si tratta di un’attività importante, dato che in Birmania sussiste un certo grado di ambiguità sulla definizione di lavoro forzato: in numerosi casi le autorità richiedono ai cittadini di svolgere quello che chiamano “lavoro volontario” una volta alla settimana o una volta al mese, ad esempio per svolgere interventi di manutenzione in determinati luoghi. I cittadini sono tenuti a svolgere questo lavoro gratuitamente e sebbene questo non venga sempre considerato lavoro forzato la gente sa che se dovesse protestare ne conseguirebbero problemi con i militari e, di conseguenza, la repressione.                  
 
Inoltre disponiamo di una nostra struttura interna che svolge attività sindacali, educa i lavoratori su cosa sia un sindacato, su come sia possibile lavorare insieme, eccetera.                   

Queste attività formative devono essere organizzate perché i lavoratori birmani non hanno nessuna idea di ciò che sia il sindacalismo?
     
             

Il regime militare è riuscito a chiudere gli occhi e le orecchie dei birmani, a isolare la nazione. La gente conosce la parola “sindacato”, ma non sa cosa significhi, né sa come funzionino e come operino i sindacati. La gente pensa che i sindacati siano controllati dal governo, che facciano solo quanto viene loro richiesto dalle autorità. Dobbiamo invece spiegare loro che sono liberi di scegliere, che hanno il diritto di costituire un sindacato indipendente. Siamo stati in grado di fornire formazione a decine di migliaia di persone in diverse parti del paese. Queste attività formative sono state progressivamente rafforzate negli ultimi cinque anni; c’è voluto del tempo per gettare le fondamenta della nostra rete nel contesto imposto dal regime. I nostri membri non sempre sanno da dove far partire il dibattito in questi corsi di formazione, né sanno sempre su quali argomenti sfoceranno le discussioni. Ad esempio, in una delle regioni rurali gli abitanti intendevano organizzare alcune attività per il 1 maggio, ma non sapevano nulla della storia di questa data o di cosa rappresentasse. Il corso di formazione si è quindi concentrato proprio su questo argomento. Siamo già riusciti a riunire 500 persone per le attività del 1 maggio. A Rangoon i nostri corsi di formazione talvolta contano tra 10 e 30 partecipanti; con loro parliamo del 1 maggio, della storia del movimento sindacale, della solidarietà sindacale e di altri argomenti.                    
Come riuscite a raccogliere 500 persone senza che le autorità se ne accorgano?                   

Non possiamo dire che la polizia e i servizi di intelligence dell’esercito non se ne accorgano; in effetti vi sono degli arresti. Tuttavia se i nostri membri si limitano a lavorare su questioni sindacali e questioni relative ai diritti dei lavoratori è molto difficile per il regime incarcerarli, dato che se così facessero l’ILO e la CSI interverrebbero, com’è accaduto lo scorso mese di aprile in seguito all’arresto di alcuni partecipanti al nostro primo congresso. La giunta tenta quindi di processarli con l’accusa di terrorismo. Per accuse di questo genere si può finire in carcere per 20 o 30 anni, o si può addirittura essere condannati all’ergastolo. Se il regime non è in grado di accusarli di terrorismo tenta comunque di processarli come criminali e, se possibile, come attivisti politici.                      
Dobbiamo fare attenzione affinché i nostri membri limitino le proprie azioni alle questioni sindacali e ai diritti dei lavoratori. Così facendo abbiamo un piccolo ambito nel quale possiamo operare, sebbene non in totale sicurezza. I nostri membri sanno di essere sotto costante sorveglianza e sanno anche di non poter commettere il più piccolo errore.                       

Da quanto tempo non esiste più un sindacato indipendente e legale in Birmania?
                      

Da ventotto anni.                        

Questa lunga assenza ha causato una qualche apatia tra i lavoratori che, ad eccezione di quelli che hanno seguito i vostri corsi di formazione, non sanno nulla dei propri diritti?   
                        

Sanno che ci sono norme sul lavoro, ma che queste si ripercuotono contro di loro; non le hanno mai viste applicate a loro favore. I lavoratori non hanno la formazione necessaria ad utilizzare queste leggi, non sanno come richiederne l’applicazione. Non hanno la forza di far sentire la propria voce e richiedere il rispetto dei propri diritti, dato che la giunta ha sempre represso tutti coloro che hanno tentato di farlo in passato. Durante i nostri dibattiti tentiamo di organizzare i lavoratori in modo tale che possano unirsi ed essere più forti insieme.                           
Gli ultimi arresti di membri della FTUB risalgono allo scorso aprile, quando cinque delegati al vostro primo congresso sono stati incarcerati poco dopo aver fatto ritorno in Birmania. Altri membri sono stati arrestati nello stesso periodo. Con quali accuse?                           

Le autorità hanno posto loro alcune domande sul congresso e sulle attività sindacali. Quando queste persone parteciparono al primo congresso della FTUB che si tenne nel mese di marzo in Thailandia (non potendo svolgersi in Birmania), li informammo del fatto che avrebbero potuto essere arrestati una volta fatto rientro in Birmania. Dicemmo a tutti che, qualora fossero stati arrestati, non c’era nessun bisogno di mentire nel rispondere agli interrogatori, dato che non avevano fatto nulla di male. Dovevano sentirsi liberi di dire che avevamo parlato dei problemi dei lavoratori, di come formare un sindacato. Dovevano inoltre sentirsi liberi di dire che gli stranieri che avevano incontrato al congresso erano anch’essi effettivamente sindacalisti e che non erano presenti al congresso nemmeno giornalisti o ONG. Quando furono arrestati e interrogati tutti i nostri membri risposero allo stesso modo, non fu necessario mentire, cosicché il regime non poté accusarli di essere terroristi o criminali. Quando ILO e CIS cominciarono a fare pressione furono rilasciati.                          

Attualmente i membri della FTUB in carcere sono 30. Quali sono le loro condizioni di detenzione?                         
In alcuni casi le condizioni sono davvero pessime, in altri leggermente migliori. Myo Aung Thant, membro del comitato esecutivo centrale della FTUB, è in prigione dal 1997. Sappiamo che soffre di pressione alta dopo così tanti anni di detenzione nel carcere di Myitkyina, nel nord del paese. Deve affrontare le tante difficoltà della regione, che tra l’altro è una delle più fredde del paese. Un altro nostro iscritto, Pho Tote, è stato condannato a 24 anni di detenzione nel dicembre 2008 e poi ad altri otto anni dopo avere protestato in carcere a nome di altri detenuti che erano stati maltrattati. Lui stesso è stato malmenato.                             

I detenuti possono ricevere visite?                            

Dipende. La maggior parte di loro è detenuta in carceri lontani da casa, per cui è molto difficile per le loro famiglie andarli a trovare, non avendo i mezzi per pagare il viaggio. Su questo punto cerchiamo di dare loro un supporto. Ad esempio, il carcere di Myitkyina dista oltre 1300 km da Rangoon e ci vogliono tre giorni di viaggio per raggiungerlo. Inoltre le famiglie devono mostrare alla polizia un documento in cui si dichiarino le motivazioni del viaggio, il luogo di destinazione e dove soggiorneranno una volta arrivati. Se non hanno denaro non possono soggiornare a casa di nessuno, dato che per paura nessuno ospita un familiare di un prigioniero politico. È un grave problema sociale per i detenuti, dato che le visite, oltre ad essere utili per il morale, costituiscono un modo essenziale per ottenere cibo decente e farmaci.                              

La giunta militare è nota per il suo massiccio ricorso al lavoro forzato. La pressione internazionale e il programma dell’ILO sono riusciti a ridurre il ricorso al lavoro forzato almeno in una qualche misura?
     
                         
Il problema è che le modalità del regime non sono cambiate. Il regime vuole che tutti credano che stia facendo il possibile per combattere contro il lavoro forzato, ma nella realtà dei fatti non è nemmeno mentalmente pronto a non farvi più ricorso, trattandosi di uno strumento che utilizza a proprio vantaggio pratico, ma anche psicologico: se una persona in uniforme verde è in grado di perseguitare un cittadino significa che è “superiore”. Il lavoro forzato è quindi anche un modo per dire ai soldati che indossando un’uniforme entrano a far parte della classe dirigente. Anche durante le recenti offensive militari contro i gruppi etnici negli Stati Karen, Kachin e Shan, come pure lo scorso mese di agosto contro i Kokangs, ne abbiamo avuto una chiara dimostrazione, con gli abitanti dei villaggi costretti a trasportare tutte le attrezzature militari.


                            
(L'intervista è stata fatta per l'ITUC da Samuel Grumiau. Puoi leggerla in originale qui)

(Questa intervista segue un'altra importante intervista rilasciata da Maung Maung a giugno, puoi leggerla qui)


(5 Ottobre 2009)