La Birmania snobba l’OIL: possibile inasprimento delle sanzioni
Ethical Corporation Magazine, Regno Unito
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro potrebbe intervenire presso altre organizzazioni a livello globale per intensificare il boicottaggio commerciale nei confronti della Birmania in occasione della propria riunione di Ginevra in cui si discuteranno i dettagli sull’interruzione della visita della propria delegazione nel paese asiatico.
L’agenzia delle Nazioni Unite terrà a marzo una riunione del proprio Consiglio di Amministrazione della durata di un mese, la cui ultima voce all’ordine del giorno sarà la discussione di un rapporto sulle pratiche lavorative in Birmania, dopo la visita di una delegazione di alto livello dell’OIL a Rangoon lo scorso febbraio.
In un risvolto imbarazzante, la delegazione è stata praticamente ignorata dalla giunta militare birmana, decidendo quindi di interrompere anticipatamente la visita.
Secondo un documento informativo pubblicato questa settimana dall’OIL, “il programma della visita presentato alla delegazione al suo arrivo a Rangoon non prevedeva incontri che, a giudizio dei suoi componenti, le avrebbero permesso di portare a termine positivamente il proprio compito”.
Nonostante le critiche nei confronti dell’atteggiamento della giunta militare, l’OIL ha assicurato che i contatti con i generali alla guida del paese non si sono del tutto interrotti. La delegazione di alto livello ha documentato un piano di azione in quattro punti che l’OIL ritiene possa migliorare gli standard del lavoro, già obiettivo di molta attenzione, in questo paese-paria.
I punti prevedono la limitazione del ricorso al lavoro forzato da parte dell’esercito, la possibilità di permettere al funzionario designato dell’OIL in Birmania la libertà di circolazione e di collegamento con soggetti ed enti non governativi, un nuovo esame ed un rinnovato impegno rispetto a precedenti responsabilità assunte in ambito lavorativo che sono state trascurate e la concessione di un’amnistia anche ad un cittadino accusato di alto tradimento in pratica solo per aver tenuto contatti con l’OIL.
Il regime ha tempo fino all’ultima settimana della riunione di Ginevra per rispondere alla proposta.
L’OIL non è in grado di imporre o inasprire le sanzioni, ma la sua opinione influenza altre agenzie delle Nazioni Unite o enti affiliati, come la Asian Development Bank, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale.
Queste organizzazioni sono in grado di formulare politiche che potrebbero avere un’influenza significativa sulla capacità del paese di attrarre commercio ed investimenti, minandone ulteriormente i tentativi di migliorare i propri collegamenti a livello regionale e globale.
Il rapporto dell’OIL giunge al momento opportuno, proprio quando le cifre sul turismo in Birmania mostrano un aumento del numero di persone interessate a visitare il paese. Secondo un rapporto del governo birmano, nel 2004 il paese è stato visitato da quasi 675.000 stranieri, con un incremento del 12,5% rispetto alle cifre del 2003.
I leader pro democratici del paese, come ad esempio Aung San Suu Kyi, ultimo leader eletto democraticamente in Birmania, richiedono da anni il boicottaggio totale di tutte le attività commerciali con la Birmania. Essi affermano che i cambi quotidiani di valuta necessariamente effettuati dai turisti per l’espletamento delle procedure per i visti ed il coinvolgimento su vasta scala del regime militare in diversi settori industriali – in particolare il settore alberghiero e della ristorazione – si traducono in un sostegno da parte dei turisti al ricorso al lavoro forzato, fornendo ad un governo impopolare valuta pesante e legittimità di cui così tanto necessita.
Gli operatori del turismo sostengono tuttavia che sia possibile far visita al paese evitando le strutture di proprietà pubblica, aggiungendo inoltre che è importante che i turisti abbiano modo di vedere il paese direttamente così da diffondere la conoscenza della situazione.
Interrotta la visita dell’OIL: i grattacapi di Rangoon
LARRY JAGAN
BANGKOK POST
3 marzo 2005
Un’altra delegazione internazionale in Birmania interrompe la propria visita per mancanza di collaborazione.
I militari birmani alla guida del paese dovranno probabilmente far fronte a richieste di inasprimento delle sanzioni economiche dopo il recente fallimento di una visita di una delegazione di alto livello dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nella capitale Rangoon.
La delegazione ha pubblicato il proprio rapporto sulla visita all’inizio della settimana. Il rapporto fornisce un quadro preoccupante dell’ignoranza e dell’intransigenza del governo birmano. I leader dell’OIL hanno comunque adottato un atteggiamento accorto allo scopo di mantenere aperta la porta del dialogo futuro con i generali birmani.
Una settimana fa al momento dell’interruzione della visita e della partenza da Rangoon la delegazione di alto livello ha lasciato il regime con un piano di azione in quattro punti: impartire istruzioni chiare all’esercito, con la pubblicizzazione di una campagna per interrompere il ricorso ai lavori forzati; un rinnovato impegno nei confronti del piano di azione sui lavori forzati già oggetto di accordo, dopo l’atteggiamento riluttante nell’ultimo anno; la concessione della libertà di circolazione al funzionario di collegamento dell’OIL a Rangoon, significativamente ridotta da qualche tempo, e la concessione dell’amnistia anche all’ultima delle tre persone condannate per alto tradimento in pratica solo per i propri contatti con l’OIL.
La delegazione indipendente di alto livello era capeggiata da un ex governatore generale australiano, Sir Ninian Stephen, già a capo dell’ultima visita di alto livello di quattro anni fa, che svolse una delle indagini più approfondite mai effettuata sul lavoro forzato in Birmania. Gli altri due membri della delegazione erano l’ex presidente della Svizzera Ruth Dreifuss e Chung Eui-yong, ex presidente del Consiglio di Amministrazione dell’OIL ed ambasciatore della Corea del sud a Ginevra, attualmente presidente della commissione affari esteri del partito al governo del suo paese.
Il regime dispone di tre settimane di tempo per compiere un qualche gesto nei confronti dell’OIL in merito ai quattro punti prima che il Consiglio di Amministrazione dell’organizzazione discuta la questione birmana. La riunione del consiglio si terrà a Ginevra dal 3 al 24 marzo. “La Birmania sarà l’ultima voce all’ordine del giorno proprio per dare a Rangoon il tempo di rispondere”, secondo quanto dichiarato la scorsa settimana da un funzionario di alto livello dell’OIL al Bangkok Post. Per adesso ci sono state alcune aperture da parte del regime.
Il movimento sindacale è perplesso sulle successive fasi da mettere in campo. “La presenza dell’OIL a Rangoon è stata importante ed utile per aumentare in Birmania la consapevolezza dei diritti dei cittadini a sfidare il lavoro forzato”, ha dichiarato Maung Maung della Federation of Trade Unions _ Burma, federazione sindacale messa fuorilegge. Maung Maung ritiene che piuttosto che ritirarsi dalla Birmania l’OIL dovrebbe rafforzare la propria presenza nel paese.
I leader sindacali birmani attendono con impazienza l’apertura di uffici dell’organizzazione in altre città della Birmania, tra cui Mandalay e Moulmein. Il ritiro dalla Birmania non è quindi visto con favore né dall’OIL, né dal movimento sindacale. “Non ce ne andremo, starà a loro cacciarci”, ha più volte ripetuto Juan Somavia, direttore generale dell’OIL.
Ed è proprio quanto potrebbero fare i generali. I governanti militari birmani possono tollerare la presenza dell’OIL solo nella misura in cui farlo sia nel proprio interesse e non costituisca una costante spina nel fianco. Da qualche tempo il governo militare in pratica ignora l’OIL e si rifiuta di rispondere a denunce e richieste.
Per quanto inizialmente sia possibile proseguire anche in un tale quadro, nel lungo periodo, senza la collaborazione delle autorità, la situazione si rivelerebbe insostenibile. L’OIL non è disposto a mantenere un ufficio costoso e non operativo e in una tale situazione sarebbe costretta a lasciare il paese.
Una più probabile ragione di irritazione per il regime potrebbe emergere qualora nella riunione che si terrà nel corso del mese l’OIL dovesse riproporre la propria risoluzione di quattro anni fa, che in pratica richiedeva ai propri membri di esaminare la possibilità di imporre sanzioni. I generali potrebbero semplicemente inviare all’ufficio dell’OIL di Rangoon un preavviso notificando la richiesta di lasciare il paese il più presto possibile, ma la giunta militare non può non comprendere che questa mossa equivarrebbe ad espellere malamente dal paese un’agenzia delle Nazioni Unite. Per quanto l’OIL abbia sue caratteristiche specifiche, essendo composta da rappresentanti di governi, datori di lavoro e lavoratori, svolge comunque un ruolo chiave tra le organizzazioni internazionali dell’Onu.
“Un tale sviluppo non verrebbe visto con favore da parte dei vicini della Birmania”, secondo un importante diplomatico asiatico che tratta regolarmente con Rangoon. India e Thailandia in particolare considererebbero una tale mossa come un duro colpo all’immagine internazionale di Rangoon, con possibili maggiori tensioni con Unione Europea e Stati Uniti. Appare inoltre improbabile che l’Asean o la Cina sostengano Rangoon nel tentativo di espellere l’OIL.
Tuttavia la battaglia cruciale tra OIL e Birmania si tradurrà molto più probabilmente in una maggiore pressione per l’inasprimento delle sanzioni. L’OIL in quanto tale non è in grado di attuare sanzioni, né può insistere presso i propri membri affinché queste vengano introdotte; tuttavia la risoluzione adottata nel 2000 richiedeva ai membri di riesaminare i propri rapporti con Rangoon in vista dell’eliminazione del ricorso ai lavori forzati.
Ciò significherebbe che anche altri enti internazionali, come altre agenzie dell’Onu, la Asian Development Bank, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale dovrebbero riconsiderare le proprie attività in Birmania interrompendo tutte quelle che potrebbero essere collegate con l’impiego di lavoro forzato. Quasi certamente tutto ciò non farebbe che aggravare l’isolamento di Rangoon.
Il governo militare birmano è certamente preoccupato dal potere potenziale dell’OIL, essendo ben consapevole del fatto che, qualora l’OIL dovesse richiedere un intervento, come nel caso delle sanzioni, ciò potrebbe effettivamente nuocergli. Una delle principali misure esaminate è il divieto di carico e di scarico dei cargo birmani da parte delle organizzazioni dei lavoratori portuali, una misura che colpirebbe molto duramente le già traballanti esportazioni del paese, complicando inoltre il quadro delle importazioni.
Probabilmente questo timore aveva inizialmente convinto il regime a permettere la visita della delegazione, ma è apparso evidente fin dall’inizio che il governo militare birmano non aveva preso la visita particolarmente sul serio. Un segno significativo del disinteresse birmano è stato il fatto che la delegazione è stata ricevuta all’aeroporto dal viceministro del lavoro. La delegazione riteneva di poter incontrare le due principali figure del paese, il generale Than Shwe e il Generale Maung Aye, ma in realtà l’incontro di più alto livello si è tenuto con il nuovo primo ministro, il Tenente Generale Soe Win, che si è limitato ad arringare la delegazione dell’OIL sui successi del regime militare per più di un’ora, essendo evidentemente del tutto all’oscuro dello scopo della visita, secondo diplomatici che a Rangoon sono stati informati dall’OIL sulle ragioni della partenza anticipata della delegazione.
“Il ministro degli esteri è rimasto chiaramente scosso quando la delegazione lo ha informato che la visita sarebbe stata interrotta per mancanza di collaborazione”, ha dichiarato al Bangkok Post un funzionario dell’Onu che ha richiesto di mantenere l’anonimato.
A questo punto il campo appare pronto per una lunga battaglia tra OIL e regime militare birmano e il lavoro forzato non sarà l’unico oggetto del contendere. Il diritto di costituire organizzazioni sindacali, i bambini soldato ed il traffico di vite umane sono tutte questioni essenziali tra OIL e governo birmano. Da parte loro i sindacati intendono spingere la questione fino a portarla nell’agenda del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.