Lavoro forzato e Commissione di inchiesta OIL
1-Introduzione
Lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso il lavoro forzato è ben documentato. La commissione dell’ONU sui diritti umani e quella dell’OIL hanno pubblicato rapporti molto dettagliati. In Birmania il lavoro forzato viene utilizzato dalle autorità soprattutto a scopi militari(costruzione e mantenimento di campi d’addestramento e caserme) e spesso anche a favore di imprese private collegate al regime. Le giustificazioni addotte dalla giunta militare che dal 1988 governa il Paese sono di ordine culturale, sostenendo che il lavoro coercitivo farebbe parte di un insieme di valori e pratiche collegati alla religione buddista. Motivazioni assolutamente non fondate. Durante l’epoca coloniale furono adottati dagli inglesi due Atti, il Village act ed il Town act che permettevano lo sfruttamento di civili per determinate attività. Nei suoi rapporti sull’applicazione della Convenzione OIL 29, il governo birmano assicurava di non esercitare più i diritti basati su quegli acts, ritenendoli completamente ingiusti e fuori dal tempo. La realtà descritta dalle investigazioni dell’OIL è ben altra. Il lavoro forzato è utilizzato nella maggior parte del Paese ed in particolare(come spesso accade) nelle zone nelle quali erano presenti minoranze etniche.



2-Il lavoro forzato nel diritto internazionale
L’utilizzo del lavoro forzato costituisce una violazione di tre diverse categorie del diritto internazionale:

- Violazione delle norme sui diritti umani
Il Patto internazionale sui diritti politici e civili rappresenta insieme al Patto sui diritti economici, culturali e sociali ed ovviamente insieme alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, la base di quello standard minimo di diritti umani che tutti i Paesi dovrebbero rispettare. La Birmania non ha aderito a quel Patto.
L’art 8 recita: “a nessuno può essere richiesto di svolgere lavoro forzato”
La commissione ONU sui diritti umani ha adottato nel corso degli ultimi anni una serie di risoluzioni che hanno comportato la creazione prima e la proroga poi di una speciale commissione d’inchiesta sulla questione del lavoro forzato. Alla fine di questo documento viene riassunto l’ultimo rapporto del giudice Lallah presentato nel 1999.

- Violazione delle norme internazionali sul lavoro
L’OIL ha adottato norme specifiche contro il lavoro forzato, che sono contenute nella Convenzione 29 del 1930 e nella Convenzione 105 del 1957. La prima è stata adottata da 136 Paesi, tra i quali anche la Birmania. Prevede che ogni membro dell’OIL elimini al suo interno e nel più breve tempo possibile ogni forma di lavoro forzato. Per lavoro forzato la Convenzione intende ogni lavoro o servizio eseguito sotto minaccia e per il quale la persona non si sia offerta volontaria.
La Convenzione 105 aggiunge che l’eliminazione deve riguardare tutte quelle forme lavorative frutto di punizioni politiche e ideologiche o giustificate da necessità di progresso economico.
Negli anni a seguire altre Convenzioni al loro interno hanno condannato l’uso del lavoro forzato.

- Violazione del diritto umanitario
Anche se la Birmania non ha adottato le convenzioni di Ginevra ed i loro protocolli, l’art.3 che condanna il lavoro forzato eventualmente imposto ai civili, è internazionalmente riconosciuto come norma jus cogens.



3.1-L’azione dell’ICFTU tramite l’OIL
Sin dagli anni sessanta il problema del lavoro forzato in Birmania è oggetto di interesse da parte dell’OIL, attraverso i suoi meccanismi di monitoraggio e controllo. Negli ultimi anni l’Organizzazione ha attivato due procedure speciali contro il Paese. Una di queste su iniziativa dell’ICFTU nel 1993.
L’ICFTU presentò un rapporto riguardante specificatamente il lavoro forzato al quale le autorità militari costringevano i civili per operazioni legate all’esercito nazionale(trasporto di munizioni, di viveri, pulizia delle caserme). Nel rapporto si faceva riferimento alle dure pratiche(tra quali il disinnescaggio di bombe) alle quali erano sottoposti sia gli uomini che le donne con numerosi casi di percosse e stupri punitivi.
Il rapporto dimostrava inoltre che queste pratiche non rientravano nelle eccezioni espressamente previste dalla stessa Convenzione 29, nell’art.2:

a)servizio militare
b)servizi rientranti negli obblighi civili
c)lavori svolti a seguito di condanna penale
d)casi di emergenza nazionale
e)piccoli servizi per la comunità

Non si poteva neanche parlare di misure di emergenza perché mancava l’elemento della transitorietà.

La risposta delle autorità birmane si sviluppò su due piani: nel primo si accusava l’ICFTU di voler denigrare l’immagine del Paese, senza conoscere le tradizioni e la cultura della Birmania. Si respingevano le accuse criticando la veridicità delle fonti e delle testimonianze. In alcuni casi si giustificarono certe forme di sfruttamento come volontarie, adducendo che molti lavoratori erano in realtà dei volontari.

Da un altro punto di vista poi, le autorità ammettevano l’esistenza di alcune pratiche che però erano in linea con la vigente legislazione nazionale.
L’esame da parte dell’OIL si basò sugli aspetti prettamente legali, confermando che i casi riscontrati in Birmania non rientravano nelle eccezioni previste dalla Convenzione e ribadendo che il Paese era ormai oggetto di richiami sin dal 1964.



3.2- L‘azione dell’ICFTU in collaborazione con l’UE
Nel 1995 l’ICFTU in collaborazione con la CES avviò una procedura formale contro le autorità della Birmania appoggiandosi al sistema GSP della UE. Le norme di questo sistema permettono ai Paesi della UE di sospendere totalmente o in parte i rapporti economici e commerciali con quei partners che risultino, sulla base di specifiche indagini, sospettati di produrre le loro merci attraverso lo sfruttamento del lavoro forzato. Nel rapporto frutto di questa collaborazione si presentavano anche casi di lavoro coatto rinvenuti nella costruzioni di infrastrutture finanziate da investitori stranieri. Dimostrazione che il fenomeno non interessava più solamente il campo delle operazioni militari, ma era ben più diffuso. Indagini da parte di ONG hanno svelato che circa 800.000 civili sono rientrati nei programmi di sfruttamento del governo, indipendentemente dalla loro etnia o dalla loro appartenenza religiosa.

La costruzione di strade, autostrade, aeroporti e centrali elettriche è stato senza dubbio il settore più coinvolto nella questione del lavoro forzato. Nel rapporto si fa spesso riferimento ad un singolo caso, ma molto rappresentativo: il progetto e la costruzione dell’autostrada Ye-Tavoy, famosa con il macabro soprannome di “autostrada della morte”. Le fonti parlano di circa 160.000 persone di etnia Karen e Mon spostate nella regione interessata e di circa 30.000 soldati utilizzati per reprimere eventuali rivolte. il caso è simbolico perché tra le prove risultano anche i volantini che le autorità facevano distribuire nei villaggi e che sottolineavano chiaramente quale sarebbe stata la sorte di chi si fosse rifiutato di abbandonare famiglia e lavoro e propria casa. Una giornalista della Bbc, tra i pochi che riuscirono a constatare di persona le condizioni di lavoro, descrisse la situazione peggiore di quella dei prigionieri di guerra durante l’occupazione giapponese della II guerra mondiale. Due le società straniere maggiormente coinvolte in questo scellerato progetto: la Total-Fina(Francia) e la Unolocal(USA), interessate alla costruzione di gasdotti ed oleodotti. Lo stretto rapporto esistente tra la Total ed il governo birmano è documentato dai notevoli supporti logistici e tecnici( si parla anche di personale militare francese presente nella zona) offerti al regime durante le sue offensive contro i gruppi di resistenza Karen schierati lungo il confine con la Thailandia.

Le società furono tra l’altro accusate dall’ICFTU di aver costretto gli abitanti di molti villaggi a spostarsi per permettere il passaggio dei gasdotti. Accuse ovviamente sempre respinte. Ma nel 1995, in un consiglio societario, alcuni dirigenti della UNOCAL ammisero che probabilmente si fece uso di lavoro forzato per la costruzione dell’autostrada Ye-Tavoy, anche se la società non aveva riscontrato alcuna violazione nelle zone interessate.

Uno dei fattori che più di altri hanno determinato l’incremento del lavoro forzato negli ultimi anni è stato lo sviluppo turistico del Paese. Attraverso campagne di promozione il governo ha prima incentivato l’afflusso di stranieri e poi avviato un programma di sfruttamento dei lavoratori. A Mandalay, per esempio, uomini e donne vennero utilizzati per ripulire le strade ed i monumenti della città. I casi più duri si ebbero nella costruzione di tutte le infrastrutture necessarie ad accogliere i turisti: aeroporti, strade, alberghi. Non a caso in tutto il Paese si è registrato un enorme aumento proprio di strade e soprattutto aeroporti. Una delle zone più interessate fu quella del lago Inlay, destinazione che il regime voleva particolarmente promuovere.

Molti civili furono sfruttati da imprese nelle mani delle potenti lobbies dei militari, sia nella produzione che nella creazione di nuovi impianti. Ovviamente i terreni che necessitavano furono espropriati con la forza. La testimonianza di un rifugiato dell’etnia Karen parla di circa 13.000 civili sfruttati per la costruzione di una diga voluta dai militari.

In generale il quadro tracciato dal rapporto evidenzia come il lavoro forzato sia stato e continui ad essere il fulcro centrale della politica di sviluppo intrapresa dal governo birmano. In quanto Paese in via di sviluppo la Birmania ha goduto per anni di politiche commerciali favorevoli da parte dell’UE, nell’ambito del sistema GPS. La UE è stato un partner importante per la Birmania, dato che più del 30% delle esportazioni verso i Paesi OCSE ha riguardato Stati dell’Unione. Da sottolineare poi l’esistenza di vari accordi e joint-ventures con alcune imprese europee, come la Total e la Novotel(Francia) e la Premier Consolidated Oilfields(Inghilterra). I capitali entrati nel Paese non hanno avuto alcun effetto benefico per le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza della popolazione, affluendo solo nelle tasche dei militari. La sospensione degli investimenti e degli aiuti da parte della UE rappresenterebbe un duro colpo per la giunta militare ed un forte segnale anche per la comunità internazionale.

Nel 1996 l’UE cercò di avviare delle indagini ufficiali, ma ai suoi rappresentanti non venne concesso il visto di entrata. Dopo circa un anno una speciale commissione d’inchiesta raccomandò al Consiglio dell’Unione di sospendere la Birmania dal sistema GSP per i prodotti industriali. La sospensione riguardò poi anche i prodotti agricoli.

Nell’aprile del 1999 l’ICFTU ha chiesto la sospensione totale degli investimenti delle imprese europee, impegnate in particolare nel settore del gas e del petrolio. La proposta iniziale venne già nel 1996 dalla Danimarca, affiancata dall’Olanda nel 1998 ed in seguito da altri Stati. Dal 1997 vige il blocco dei visti per gli appartenenti alla giunta militare che guida il Paese, l’embargo per la vendita delle armi, e l’interruzione di tutti gli aiuti non umanitari. L’Unione ha inoltre rifiutato l’accesso della Birmania all’accordo EU-ASEAN.

Nel 1998 l’EU iniziò una causa contro gli Stati Uniti nell’ambito del WTO, perché lo Stato del Massachussetts si rifiutava di concludere accordi con quelle imprese che mantenevano rapporti commerciali con la Birmania. l'inglese Unilever e la tedesca Siemens furono discriminate per questo motivo, ma anche grandi multinazionali americane come l’Apple si opposero alla legislazione del Massachussetts. L’ICFTU commentò in maniera decisa: “Se l’azione del Massachussetts che pone i diritti umani della popolazione della Birmania davanti agli interessi delle multinazionali, è contraria alle regole del WTO, allora bisogna modificare le regole del WTO e non il comportamento dello Stato americano”.



4- La Commissione d’inchiesta dell’OIL costituita in base all’art.26 della Costituzione, 1996-1999
Nel 1996 l’OIL ha lanciato una nuova offensiva contro l’uso del lavoro forzato da parte della giunta militare. 25 delegati dei lavoratori depositarono una protesta contro la Birmania in base all’art.26 della Costituzione dell’OIL, a cui fece seguito la costituzione di una commissione d’inchiesta. Un’iniziativa del genere costituisce di per sé una significativa condanna politica e morale nei confronti di un membro dell’Organizzazione. La pubblicazione di un rapporto redatto da una commissione d’inchiesta è l’arma migliore che l’OIL possieda contro gli Stati che non rispettano le Convenzioni. Dal 1919 sono state costituite solo 16 commissioni.

La commissione ricevette il compito di verificare l’osservanza da parte della Birmania della Convenzione n.29 del 1930 sul lavoro forzato. La CES, grazie all’apporto di studiosi di diritto internazionale del lavoro, riuscì a sottoporre alla commissione un dettagliato rapporto sulla Birmania, oltre al diretto intervento di 12 testimoni.

Questo rapporto, insieme ad altri presentati da varie ONG, risultarono fondamentali, dato che il governo birmano non permise la visita della commissione dell’OIL.

Conclusioni
  • L’obbligo di sopprimere ogni forma di lavoro forzato è stato sistematicamente violato sia a livello legislativo, che a livello di attuazione pratica.
  • Lo sfruttamento di civili da parte dei militari fa parte di un sistema basato sulla violenza e sull’intimidazione che nega i diritti dei cittadini. Sistema che vige fin dal 1988.
  • Le prove di queste violazioni sono evidenti.
  • Il lavoro forzato ha interessato tutti cittadini indiscriminatamente, compresi bambini, anziani e donne.
  • Molti sono stati i casi di morte e di violenze subite durante lo sfruttamento. In particolare le donne subivano violenze e stupri da parte dei militari.


Raccomandazioni della Commissione
Sulla base dei risultati dell’investigazione, la commissione sollecita al governo birmano di intraprendere quelle misure necessarie per:

  1. adeguare la legislazione alle disposizioni della convenzione entro il 1° maggio 1999.
  2. Assicurare che il lavoro forzato non venga più concretamente utilizzato.
  3. Rafforzare i meccanismi di prevenzione e di repressione contro i colpevoli.

Il rapporto della commissione fu completato nell’agosto del 1998. La CISL Internazionale, oltre ad un richiamo diretto al governo birmano, realizzò un filmato prodotto dalla Images Asia, con un intervento esclusivo del leader della Lega Nazionale per la Democrazia in Birmania che commentava i risultati del rapporto OIL. Ormai, con la pubblicazione del rapporto, le grandi multinazionali non potevano più ignorare o fingere di ignorare le disastrose condizioni dei lavoratori e la sistematica violazione di tutti i diritti umani.

Il Rapporto della Commissione di inchiesta fu presentato alle autorità birmane il 27 luglio 1998, che in settembre replicarono con una lettera. Nella risposta si specificava l’impegno del governo per varare un nuovo piano di sviluppo economico e per modificare i Village e Towns Acts, che prevedevano lo sfruttamento dei lavoratori. Allo stesso tempo però il governo assicurava che il lavoro forzato non era mai stato imposto ai cittadini.

Nel novembre 1999 il Consiglio d’amministrazione richiese al Direttore Generale di promuovere un rapporto sulle misure prese dal governo birmano per dare effetto alle raccomandazioni della commissione. Il governo fu informato e obbligato a presentare il rapporto entro il febbraio 1999 in modo tale da permettere una sua analisi durante la sessione di marzo del Consiglio d’amministrazione. La risposta delle autorità fu laconica e riguardò l’argomento dei Village e Towns Acts, senza alcun riferimento agli emendamenti proposti alle disposizioni legislative.

Nella sessione di marzo il Consiglio di amministrazione espresse la sua insoddisfazione per la mancanza di azione del governo e richiese nuovamente al Direttore generale di contattare le autorità birmane. Nella sessione del novembre 1999 sarà inserito un “item” riguardante le misure intraprese dalla Birmania.

A metà maggio l’ICFTU ha presentato un nuovo rapporto, denunciando le inadempienze del governo birmano. La campagna dell’ICFTU coincise con la riunione dei ministri del lavoro dei Paesi dell’ASEAN che si tenne proprio a Rangoon. L’atteggiamento del governo si fece più accondiscendente ed a maggio inviò una nuova risposta all’OIL, sottolineando che il Ministero degli affari interni aveva promulgato un atto con il quale vietava alle varie autorità locali di esercitare i poteri conferitigli dal Village e dal Tows Act. Ricevuta copia scritta dell’atto, il Segretariato dell’OIL si rese però conto che erano previsto numerose eccezioni che contrastavano con le uniche eccezioni accettate previste espressamente dalla Convenzione n.29.

A Giugno 1999 la Conferenza OIL ha adottato una Risoluzione che deplorava la assenza di volontà della giunta di modificare le norme nazionali per renderle coerenti con quanto previsto dalla Convenzione 29 prima del 1 maggio 1999, così come richiesto dalla Commissione di inchiesta.

La Commissione aveva anche sottolineato che a) il comportamento del governo era icompatibile con le condizioni e i principi che regolano la partecipazione di uno stato all’OIL. b) che il governo non avrebbe potuto più beneficiare della cooperazione tecnica o della assistenza dell’OIL, tranne quella connessa alla attuazione immediata delle raccomandazioni della Commissione di inchiesta sino a quando non fossero state poste in atto le misure richieste. C) che il governo birmano non avrebbe più ricevuto alcun invito a partecipare alle riunioni, simposi, seminari organizzati dall’OIL, ad eccezione di quelle collegate con la attuazione delle raccomandazioni della commissione.

Tali questioni vennero ulteriormente prese in esame dal Consiglio di Amministrazione del novembre 1999.

Giugno 2000 la Conferenza dell’OIL ha discusso quali misure doveva adottare a seguito delle raccomandazioni del Consiglio di Amministrazione secondo l’art. 33 della Costituzione per quano riguarda la attuazione delle raccomandazioni della commissione di inchiesta. Il Consiglio di Amministrazione aveva raccomandato alla conferenza di adottare le seguenti misure:

  1. di decidere che la questione della attuazione delle raccomandazioni della Commissione di Inchiesta e della applicazione della Convenzione 29 dovessero essere discusse nelle future sessioni della Conferenza Internazionale del Lavoro in una sessione del Comitato Applicazione Norme, dedicata in specifico a questo scopo, fino a quando lo stato membro non avesse dimostrato di aver attuato gli obblighi previsti.
  2. di raccomandare ai costituenti dell’OIL in quanto tali: governi, imprenditori e lavoratori- che loro : 1) dovevano rivedere, alla luce delle conclusioni della Commissione di Inchiesta, i rapporti che avevano con lo Stato interessato e adottare le misure appropriate per assicurare che tale membro non potesse avvantaggiarsi di tali rapporti per perpetuare od estendere il sistema del lavoro forzato od obbligatorio a cui ha fatto riferimento la Commissione di inchiesta e di contribuire per quanto possibile alla attuazione di tali raccomandazioni e 2) relazionare ad intervalli regolari al Consiglio di Amministrazione.
  3. per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, invitava il Direttore Generale a: 1) informare le organizzazioni internazionali indicate nell’articolo 12 paragrafo 1 della Costituzione della assenza di attuazione da parte dello stato membro; 2) chiedere agli organismi interessati di tali organizzazioni di riconsiderare , nel quadro dei criteri previsti e alla luce delle conclusioni della Commissione di Inchiesta, qualsiasi cooperazione con la giunta militare.

SITUAZIONE attuale, in base alle richieste presentate dalla prima Commissione di inchiesta OIL:

I dati e le testimonianze raccolte dal sindacato birmano e trasmesse attraverso la ICFTU all’OIL mostrano una costante violazione della Convenzione 29 sul lavoro forzato. Decine e decine sono le denunce e non risulta in alcun modo che la pratica del governo e tanto meno la legislazione si stata modificata.

La legislazione: “Village act e Town act” non sono state aggiornate mentre i due decreti 1/99 e il successivo che lo emendava sono stati adottati e potrebbero essere usati come base legale per eliminare il lavoro forzato, se fossero attuati con rigore.

Quattro aree prioritarie erano state identificate, a seguito delle quali bisognava che vi fossero azioni concrete e misure operative da parte del governo e dell’esercito:

  1. Istruzioni concrete: da anni il Comitato degli Esperti OIL richiede, senza risposta, che siano date istruzioni concrete nei confronti dei funzionari pubblici e dei membri delle forze armate, istruzioni che definiscano che tipo di pratica è considerata lavoro forzato e come gli stessi compiti e lavori possono essere effettuati senza il lavoro forzato.
  2. Pubblicità data agli ordini. Sono state adottate alcune misure ma la loro efficacia non è nulla. Solo se la gente sa che il lavoro forzato è vietato può reagire e opporsi. Tre gruppi specifici dovrebbero essere il target: la popolazione; le autorità civili e i militari.
  3. Finanziamento di mezzi adeguati: è fondamentale un profondo cambiamento delle quote di bilancio per l’esercito e le armi, spostando le risorse sui servizi pubblici….. 
  4. monitoraggio: è stato istituito un comitato d’attuazione della Convenzione 29. Mancano però procedure chiare e l’attuazione delle sanzioni. Alcune sanzioni sono state date e alcuni officiato di basso livello sono stati arrestati ma i responsabili politici sono tuttora impuniti.

A Novembre 2004, il Gruppo lavoratori del Consiglio di Amministrazione OIL ha presentato ulteriori prove della continuazione del lavoro forzato e dell’utilizzo di bambini soldato, senza che vi fosse alcuna condanna di tali violazioni dei diritti fondamentali del lavoro. Il Consiglio d’amministrazione OIL ha deciso di dare un’ultima chance alla giunta, prima di adottare misure ulteriori, secondo la risoluzione del 2000 che per la prima volta menziona la possibilità di chiedere l’interruzione di investimenti diretti esteri nel paese.

Al fine di verificare la disponibilità al dialogo da parte della giunta, il Direttore Generale Somavia, su mandato del Consiglio ha inviato una “Very High Level Team” a Rangoon, composta da Sir Ninian Stephen ex governatore generale dell’Australia, Ruth Dreifuss, ex Presidente della Confederazione Svizzera e ex Presidente del sindacato svizzero USS SGB, e Eui-yong Chung ex presidente del GB dell’OIL e membro del parlamento coreano..


A febbraio, la “Very High Level Team è andata a Rangoon ma non ha potuto incontrare il Generale Than Shwe capo della giunta, né il suo deputato Gen. Maung Aye.



La Missione ha posto quattro condizioni minime, che le autorità avrebbero dovuto attuare urgentemente:

  1. Emettere e pubblicizzare ampiamente, una serie di istruzioni esecutive per attuare pienamente le precedenti direttive, a tutte le unità militari.
  2. Riconfermare l’impegno alla attuazione del Programma d’azione comune dell’OIL sul lavoro forzato, inclusa l’identificazione del Facilitatore e la nomina di un Focal Point d’alto livello nell’esercito per trattare i casi e le denunce di lavoro forzato che riguardano l’esercito.
  3. Rinnovare l’impegno delle autorità nei confronti della libertà di movimento del rappresentante dell’OIL.
  4. Adottare ulteriori misure di disponibilità tra cui la liberazione di Shwe Man (condannato a morte nel 2003 per aver passato informazioni all’OIL) e trovare soluzioni credibili ai casi gravi di lavoro forzato identificati dal GB nel novembre 2004.

Risultato: alcuni ufficiali sono stati nominati come focal points e alcuni ufficiali sono stati condannati e incarcerati. Ma in nessuno dei casi questi erano rappresentanti d’alto livello.


Il Gruppo Lavoratori ha chiesto a marzo:

  1. che il Consiglio desse istruzioni al DG per scrivere di nuovo a tutti i costituenti chiedendo il pieno sostegno e di proseguire nelle azioni previste nella Risoluzione del 2000.
  2. azione decisiva dell’OIL per rafforzare il Liason Office e
  3. l’ immediato rilascio Aung San Suu Kyi e degli altri detenuti a partire dal sindacalista Shwe Man, precedentemente condannato a morte insieme ad altri sindacalisti per essere stato trovato in possesso di un biglietto da visita del rappresentante OIL e di un telefono satelllitare. Mentre il GB era riuscito a far liberare due dei sindacalisti, Shwe man ha ottenuto solo la commutazione della condanna.

I governi UE, al Consiglio di marzo non hanno preso alcun impegno stringente e hanno espresso una posizione debole.

Gli imprenditori e molti governi sono stati decisi ad eccezione di alcuni (Cina, Indonesia, India….)



CONCLUSIONI del Consiglio di Amministrazione di marzo 2005:

   1. Si è confermato che le misure della Risoluzione adottata dall’OIL nel novembre 2000 rimangono in vigore per tutti i costituenti e le altre organizzazioni.

   2. Il GB ha sottolineato che un “atteggiamento d’attesa prevalso tra i membri OIL dopo il 2001, quando sembrava che la giunta militare fosse disposta a promuovere il dialogo democratico e la collaborazione con l’OIL, sembra aver perso la ragione d’essere e non può continuare”

   3. Nella risoluzione stata posta una attenzione particolare a lasciare la porta aperta al dialogo e un segno di rinnovata disponibilità da parte della giunta, sarebbe stato la liberazione di Shwe Man e la attuazione delle altre richieste della vHLT.

   4. Il GB ha deciso di “trasmettere a tutti coloro cui era rivolta la Risoluzione del 2000, e le Agenzie, i risultati di queste conclusioni, in modo che da parte di ciascuna istituzione, governi, e parti sociali fossero adottate le azioni necessarie derivanti da tali considerazioni”

   5. Ha dato mandato agli Officers del GB di seguire con attenzione gli sviluppi che saranno riportati nella Commissione Norme della Conferenza dell’OIL di giugno.