Libertà dal terrore e dalla paura

L’appello lanciato recentemente dall’Ex Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel e dal Premio Nobel della Pace Desmond Tutu con la pubblicazione del rapporto sulla gravissima violazione dei diritti umani fondamentali in Birmania, non può essere ignorato.
La Birmania è un paese martoriato da decenni di violenta dittatura che ha imposto l’arbitrio come legge e come modalità di governo. Un paese che ha raggiunto il triste primato di essere il primo produttore di metanfetamine al mondo, il secondo per produzione di oppio, il primo per bambini soldato e numero di persone costrette al lavoro forzato. Un paese in cui la più autorevole leader politica e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è sottoposta dal 1989, tranne alcune interruzioni, agli arresti domiciliari.
Da troppo tempo si chiede inutilmente la liberazione della Premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi e degli altri leader politici, sindacali e religiosi, la cancellazione del lavoro forzato e degli altre violazioni dei diritti umani fondamentali e l’avvio di un serio dialogo tripartito con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, procedure e scadenze condivise.
Gli effetti nefasti di questa dittatura non colpiscono solo la intera popolazione del paese, ma hanno pesanti ripercussioni politiche, sociali, e per di più anche di sicurezza, in tutta la regione e sul piano internazionale. L’Assemblea Generale ONU ha approvato ben 14 risoluzioni consecutive sulla Birmania. La Commissione ONU per i diritti umani ha approvato 13 risoluzioni consecutive. Tali risoluzioni chiedono l’avvio di negoziati tra la giunta militare al potere e il movimento democratico guidato dall’unico Premio Nobel per la pace in carcere: Aung San Suu Kyi e dai rappresentanti delle minoranze etniche, per la riconciliazione nazionale pacifica e la democrazia. Sia al rappresentante speciale di Kofi Annan: Ismail Razali, che al Prof. Pinheiro, Relatore Speciale della Commissione per i diritti Umani è stato vietato l’ingresso in Birmania, mentre al rappresentante OIL in quel paese viene limitato al minimo lo spazio di azione e movimento volto a sostenere la eliminazione del lavoro forzato.
Chiediamo pertanto con urgenza, al parlamento italiano, al governo, ai rappresentanti italiani presso il Parlamento Europeo e presso le altre istituzioni internazionali, di far si, come richiesto dall’ex Presidente Ceco Vaclav Havel e da Mons. Desmond Tutu, che: “ il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esamini con urgenza la situazione birmana. La salvaguardia della pace, della sicurezza e della stabilità in questa regione e nel mondo ed il conseguimento della riconciliazione nazionale in Birmania non meritano nulla di meno”.
Chiediamo pertanto che Il Consiglio di Sicurezza ONU approvi una risoluzione sulla Birmania, che obblighi il regime militare a lavorare con il Segretariato Generale dell’ONU per la messa a punto di un piano nazionale di riconciliazione; che vi sia un resoconto periodico al Consiglio di Sicurezza; che gli aiuti umanitari possano liberamente e senza condizioni raggiungere le persone più bisognose e che si ottenga la liberazione immediata della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi.
Inoltre, così come richiesto dall’ NLD, il partito di cui è leader la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ci appelliamo ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza ONU, affinché non esercitino il loro potere di veto, contro l’ inserimento di questo punto all’ordine del giorno, sostenendo, viceversa, le proposte avanzate nel Rapporto stesso.

Hanno già firmato:

Savino Pezzotta
Walter Veltroni
Paolo Pobbiati presidente Amnesty International Italia
Fulco Pratesi


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