5/11/2009
Anche i potenti cercano di dimenticarsene
Articolo di Cecilia Brighi

E’ di questi giorni l’allarmante notizia che Aung San Suun Kyi, tenace e coraggiosa eroina birmana, Premio Nobel per la Pace, agli arresti domiciliari ormai dal 30 maggio 2003, che complessivamente dal 1988 ha passato oltre 13 anni privata della sua libertà, e’ di nuovo gravemente malata, debole, malnutrita e disidratata. Purtroppo anche il suo medico curante il dottor Tim Myo Win, che puo’ visitare la leader birmana solo alcuni giorni al mese e’ stato arrestato. Il 27 maggio dovrebbero scadere ancora una volta gli  arresti domiciliari della leader birmana, ma l’appello per la sua immediata liberazione, presentato dal suo legale è stato respinto ancora una volta dalla giunta militare. Ora poi, dopo l’arresto di un cittadino americano che aveva raggiunto a nuoto il compound dove e’ reclusa la leader birmana e che si era fermato nella casa per due giorni, ogni anche debole speranza per la sua liberazione sembra essere svanita.

L’arroganza e l’indifferenza della giunta è nota al mondo, anche i potenti cercano di dimenticarsene scrollando le spalle in segno di impotenza. Lo scorso anno, proprio ai primi di maggio la giunta aveva ricevuto la segnalazione da parte delle autorità indiane dell’imminente arrivo di un devastante ciclone e nessun allarme era stato lanciato alla popolazione. Risultato 140.000 morti e oltre due milioni e mezzo di senza tetto. Come se non bastasse solo dieci giorni dopo questo drammatico evento, la giunta aveva mantenuto la data per la effettuazione di un referendum per la approvazione della loro costituzione. Una costituzione che sancisce la continuazione del potere militare, travestito da potere civile. Un referendum il cui voto è stato imposto con la forza, con il ricatto, con le minacce e gli arresti. Una costituzione che viene rifiutata  dal governo birmano e da tutte le principali organizzazioni democratiche. Infatti, l’Unione dei Parlamentari Birmani in una sua dichiarazione formale del gennaio scorso ha affermato che “la costituzione del 2008 del regime birmano non porti alla democrazia, non risolva i problemi nazionali o porti pace e prosperità alla nazione. I leader militari dovrebbero rivedere la costituzione insieme alla NLD e agli altri stakeholders in modo che gli emendamenti costituzionali possano essere introdotti in modo da ridurre  il controllo dei militari sui diversi aspetti della vita politica e rimuovere le restrizioni imposte sui diritti fondamentali del popolo di tutte le nazionalità”.

Sulla stessa lunghezza d’onda le conclusioni del vertice delle organizzazioni democratiche birmane, sottoscritte dal Governo birmano in esilio NCGUB, dalla piu’ grande coalizione delle organizzazioni democratiche l’NCUB, dalla Lega delle donne birmane, dal Congresso degli studenti e dei Giovani Birmani e dal Forum della gioventù etnica NYF. Tutte queste organizzazioni ritengono che “la costituzione del 2008 non e’ in grado di superare le crisi politiche economiche e sociali del Paese, ma consolida il potere militare.

Abolire la costituzione del 2008 è pertanto fondamentale nella costruzione di una transizione democratica ed uno dei più immediati compiti del movimento democratico”. Tutte queste organizzazioni, governo in esilio in primis, ribadiscono la loro opposizione alle elezioni del 2010 “che renderanno concreta la costituzione del 2008 e si impegnano ad opporsi collettivamente alle elezioni del 2010 se il regime continua ad ignorare le proposte e le raccomandazioni delle forze politiche compresa la NLD e la comunità internazionale. Le proposte includono il rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici, compresa Aung san Suu Kyi e U Khun Htun OO e il dialogo sostanziale e la revisione collettiva della costituzione, per portare ad un processo politico inclusivo nel Paese”.

Queste dichiarazioni non rappresentano un dato secondario e non possono essere ignorate, soprattutto dalla Unione Europea che, pur sostenendo giustamente l’urgenza della liberazione immediata della leader birmana e dei detenuti politici, afferma d’altro canto la disponibilità ad accettare le elezioni del 2010 a patto che vengano date effettive garanzie democratiche ed un maggior rispetto dei necessari standard internazionali di legalità. Una contraddizione profonda che potrebbe portare a sottovalutare gli effetti dei risultati elettorali, costruendo le basi per una sorta di “dittatura di mercato”, che farebbe comodo al sistema degli affari. Se le elezioni si terranno sulla base di questa costituzione farsa, nel nuovo parlamento siederanno il 25% di militari nominati dal Comandante in Capo dell’esercito e qualsiasi comitato che si dovra’ occupare di questioni che attengono alla difesa o alla sicurezza sarà composto esclusivamente da militari. Quindi una democrazia finta, che si baserebbe su una costituzione che basterebbe leggere anche superficialmente per capire come nulla cambierebbe nella sostanza. Forse una maggiore incisività europea, soprattutto nel dialogo con Cina, India e Russia, potrebbe portare risultati se vi fosse un margine negoziale maggiore con questi Paesi e con l’Asean. L’Unione Europea ha appena reiterato le sanzioni economiche mirate, condizionandone la continuazione alla apertura reale del dialogo. Sulla stessa lunghezza d’onda e con una maggiore puntualità di strumenti e di controlli si trovano Stati Uniti, Canada e Australia.

Molti sono gli strumenti giuridici in mano ai Paesi. Dalla Corte Penale Internazionale, alla Corte Internazionale di Giustizia, al Consiglio di Sicurezza. Tra pochi giorni si apre poi la Conferenza annuale dell’ILO e sarebbe importante che in quella sede le dichiarazioni della Unione Europea escano dalla usuale “profonda condanna e sdegno” per decidere ulteriori forme di pressione politica che tanto preoccupano la giunta militare, come ad esempio il deferimento della giunta militare alla Corte Internazionale di Giustizia  per la violazione della Convenzione sul lavoro forzato. Una decisione che la giunta teme profondamente, perche’ pile di giurisprudenza internazionale decisa dall’ILO inchioderebbero i militari birmani ad una rapida e sicura condanna. Decine di migliaia di persone ancora oggi sono vittime di questa forma di schiavitù da parte di un esercito che e’ il decimo al mondo, e di un governo che ancora oggi invece di utilizzare i proventi delle grandi risorse naturali per il bene del suo popolo, lo lascia  letteralmente morire di fame e di terrore.
Vedremo se il nostro governo e se la Unione europea sapranno dare un segno forte di discontinuità e di coraggio politico.

Nel frattempo il Ministro degli Esteri Frattini potrebbe fare un gesto importante, convocando urgentemente l’ambasciatore birmano in Italia per esprimergli tutto lo sdegno del paese e la richiesta di una immediata ed incondizionata liberazione della leader birmana Aung San Suu Kyi e di tutti i prigionieri politici, preannunciando anche ulteriori passi ed iniziative politiche sul piano internazionale e a livello ONU.

Cecilia Brighi 

(L'articolo è tratto da Articolo21.info. Puoi leggerlo su http://www.articolo21.info/8433/notizia/anche-i-potenti-cercano-di-dimenticarsene.html)