Win Tin, eroe della dissidenza birmana muore a Rangoon.
Giornalista e grande oppositore della giunta militare, in carcere per 19 anni, torturato ripetutamente, fondatore insieme ad Aung San Suu Kyi della NLD

Una vita dedicata al suo paese. Un uomo di straordinario rigore morale ed intellettuale, , giornalista e uomo politico, lascia  una grande eredità di valori e di principi che dovrebbero orientare la vita politica e le scelte future del paese. Arrestato nel luglio del 1989 insieme a centinaia di dissidenti, per le sue ripetute critiche alla giunta militare ed i suoi stretti legami con Aung San Suu Kyi, fu condannato a 21 anni di carcere ed ad ulteriori 7 nel 1996 per aver inviato un rapporto all'ONU sulle terribili condizioni di vita e sulle torture nelle carceri birmane. Ha trascorso la maggior parte dei  19 anni di carcere in isolamento in una gabbia per cani, ripetutamente torturato e privato delle cure mediche, di acqua e cibo. Fu rilasciato nel settembre 2008 grazie ad un'amnistia, che lui aveva rifiutato, perchè non avrebbe cancellato le accuse contro di lui. Finalmente venne rilasciato senza condizioni. Fino all'ultimo continuò  ad indossare la camicia blu utilizzata dai detenuti, per chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici. Oltre 100.000 persone al suo funerale.

Rangoon  21 aprile  E' morto a 85 anni in Birmania Win Tin, noto giornalista e il prigioniero politico più a lungo detenuto per aver sfidato la giunta militare. Ha fondatocon Aung San Suu Kyi la Lega nazionale per la democrazia. Era in ospedale a Rangoon per problemi respiratori dal 12 marzo. Ex direttore di quotidiano, fu stretto collaboratore della leader dell'opposizione e premio Nobel per la pace, fondando con lei nel 1988 il partito pro-democrazia. Nel 1989 Suu Kyi fu messa agli arresti domiciliari, mentre Win Tin fu incarcerato e ripetutamente torturato per le sue attività politiche. La sua condanna fu prolungata più volte, la seconda delle quali per aver scritto una lettera alle Nazioni Unite.

Mentre era in cella ricevette diversi riconoscimenti internazionali. A causa dei lunghi anni di carcere duro e di torture, la sua salute era molto malferma.  . Nel suo libro 'Una vita da dissidente, uscito in Italia nel 2012, ha raccontato le torture subite, le mancate cure mediche, la scarsità di cibo dietro le sbarre. È stato liberato nell'amnistia del 2008. "Era un pilastro di forza. La sua morte a questo importante punto politico della transizione è una grande perdita, non solo per la Lega ma per il Paese", ha dichiarato Nyan Win, portavoce del partito.

Win Tin “Una vita da dissidente”
edizioni Obarra O
Postfazione di Cecilia Brighi

La narrazione del duro scorrere della vita di Win Tin, la sua semplicità e la sua pacata determinatezza  consegnano a chi legge un testimone che non può essere lasciato cadere. Il racconto del tormentato scorrere dei suoi anni mostra la straordinaria semplicità con la quale può nascere ed irrobustirsi un ideale, come si rafforzano e si temprano le radici del  suo carattere, germogliato da un seme piantato in gioventù nella temporanea condivisione della vita dei monaci e nell’incontro, seppur breve, con la figura del Generale Aung San. Ciò ha enormemente influito sulla futura vita di Win Tin, ragazzetto pieno di ideali, accompagnandolo negli anni complicati della sua esistenza. Un seme che si è trasformato in robusta pianta di saggezza e di sfida non violenta alla ferocia e alla stupidità di un regime lievitato nei decenni con la condiscendenza e nel disinteresse del mondo. Le prime lezioni di vita in un monastero, a contatto con i monaci ed il loro semplice gesto della raccolta delle elemosine.  Quelle semplici ciotole, diventano da un lato strumento di misurazione delle condizioni di vita di un popolo e dall’altro potente strumento  di  condanna politica.

I suoi viaggi per il paese,  e poi in Russia e nei paesi dell’est europeo, sotto il pugno di acciaio del comunismo, generano una ricerca continua sul potrebbe essere il suo possibile contributo al cambiamento del paese, fino alla scoperta della propria strada  di impegno che passa attraverso  il  giornalismo militante e la costante ricerca  di pretesti sottili e indiretti per denunciare gli abusi della giunta militare. Da qui la straordinaria metafora del granchio e della zanzara, che ricorda al popolo birmano, come nella storia del mondo la individuazione del “tallone di Achille” possa diventare leva chiave per il cambiamento. Win Tin ci svela i sotterfugi utilizzati durante la lunga, tormentata sopravvivenza nel famoso carcere di Insein, nel tentativo di mantenere alta la dignità in un luogo simile ad un girone dell’inferno con le sue celle per cani, le torture, l’assenza di cure che se da un lato indeboliscono i corpi, dall’altro rafforzano, la straordinaria caparbia volontà di ferro dei detenuti politici, che arrivano a costituire un comitato d’azione congiunto ed un comitato per i diritti umani, sintesi democratica per eccellenza di come dovrebbe costruirsi una struttura rappresentativa.

E infine  ci lascia un messaggio per il futuro.

Parole illuminanti sul ruolo delle elezioni farsa e sul  trasformismo della giunta, che molti dei cosiddetti esperti di Birmania dovrebbero  finalmente ascoltare: “ Un tempo le autorità stravedevano per il “socialismo”, termine usato per giustificare una politica che di socialista aveva ben poco. Oggi i generali si sono appropriati del termine “democrazia” E’ tutto un programma, piegano questa parola a loro vantaggio. Abbiamo forse una costituzione democratica, un parlamento democratico, un governo democratico, una società democratica?Secondo i generali,si basta aggiungere ogni volta l’aggettivo “disciplinato” . Risultato: in effetti abbiamo un regime interamente controllato e dominato dalla giunta”.

Alla luce degli ultimi avvenimenti e dei risultati elettorali  le previsioni di Win Tin si sono avverate. Elezioni farsa, basate su di una costituzione disegnata per garantire la continuità sostanziale del potere in mano ai generali, a militari che hanno lasciato le divise, solo per poter entrare in parlamento in altro modo. Leggi elettorali costruite ad arte in modo da ricattare un partito serio, come l’NLD, che per presentarsi. avrebbe dovuto giurare fedeltà ad una inaccettabile costituzione e quindi ad un potere diabolico e trasformista. Infatti la Lega Nazionale per la Democrazia ha dichiarato le elezioni inaccettabili, si è rifiutata di  riconoscere la costituzione farsa e soprattutto di cacciare dal partito la sua Leader Aung San Suu Kyi e gli altri detenuti politici e di rinnegare  la lotta per la democrazia, quella vera, non quella “disciplinata”.

E i risultati elettorali  possono essere accettati solo da chi non vuol vedere. L’ USDP, il  partito nato dalle spoglie dell’organizzazione paramilitare  USDA ha ottenuto il 76,5% dei voti e nelle aree di etnia birmana addirittura il 90%. L’NUP, anch’esso legato alla giunta, nato  nel 1988 dalle costole del  Partito del Programma Socialista, legato al generale Ne Win e sconfitto dal partito di Aung San Suu Kyi nelle uniche elezioni democratiche del 1990, ha ottenuto il 5.4% mentre un altro 4,9% è andato al partito etnico dello Stato Shan l’ SNDP, anch’esso figlio della strategia dei militari volta a conquistare consensi negli Stati etnici. Mentre il partito nato dalla costola della Lega Nazionale per la Democrazia, con l’obiettivo di sfidare elettoralmente la giunta e di conquistare spazi istituzionali per promuovere la democrazia ha ottenuto solo l’1,4 %. Si deve anche ricordare che un  25 % dei seggi è destinato a personalità nominate dai militari, e altri finti partiti, legati alla giunta hanno presentato come candidati alcuni “papaveri militari” obbligati a lasciare la divisa per presentarsi alle elezioni.  Le ultime pedine di questo puzzle del vecchio potere militare sono il nuovo presidente ed ex generale, Thein Sein,  primo ministro fino alle elezioni e primo segretario del Consiglio per la Pace e lo Sviluppo dello Stato, presidente della convenzione nazionale  per la definizione della costituzione farsa.  E i due  vice presidenti: Tin Aung Myint Oo, luogotenente  nella giunta  prima di dare le dimissioni in vista della candidatura alle elezioni  e Sai Mauk Kham, politico scarsamente noto, di etnia Shan e del partito della giunta USDP.

Chi sperava, illusoriamente, che le elezioni potessero essere un grimandello per  innescare il cambiamento deve rassegnarsi alla realtà dei fatti. D'altronde Win Tin, prima ancora  delle elezioni, aveva previsto cosa sarebbe successo. Ha indicato chiaramente le possibili conseguenze di un parlamento eletto senza democrazia. Con la sua saggezza ha indicato alcuni importanti passi per garantire un rafforzamento della lotta per la democrazia  e per il futuro della sua lega Nazionale per la Democrazia.  Primo fra tutti il ricambio generazionale, l’apertura, il coinvolgimento dei giovani. Aung San Suu Kyi ha raccolto da subito questo suggerimento, ospitando e sostenendo fortemente la nascita della rete giovanile del partito.

Il vecchio leader ha anche rivolto una sottile  ma puntuale critica “a quei paesi che in passato non hanno instaurato relazioni speciali con la Birmania e constatano la lentezza del processo. Sono gesti di impazienza”,  sottolineando la necessità di un forte appoggio politico occidentale, per evitare anche la trappola politica ed economica, che il governo di Pechino sta tessendo alacremente in Birmania, con i suoi massicci investimenti nel settore energetico e delle infrastrutture.

Dall’appello di Win Tin e da una ricerca recente nasce la decisione dell’NLD di chiedere all’occidente il mantenimento delle sanzioni.

La necessità di mantenere le sanzioni occidentali, deriva dalla verifica che l’embargo ha colpito unicamente il regime militare e non la popolazione. “Abbiamo constatato che le sanzioni colpiscono solo i leader del regime e i loro stretti alleati in affari” ha dichiarato agli inizi di febbraio  2011 Tin Oo Vice Presidente dell’NLD, contrapponendosi alla strategia della giunta, che punta ad attrarre  sempre più gli investitori stranieri soprattutto asiatici. Un appello che ha prodotto un duro colpo,  per  quei governi ed imprese occidentali che con la scusa delle elezioni, speravano e sperano ancora di poter dribblare i veri problemi del paese, di ignorare le mai cessate violazioni dei diritti umani, per dare spazio alle strategie di conquista  economica del paese, che non sopportando più di rimanere a guardare Cina, India e Corea del Sud mentre depredano liberamente, a man bassa e senza concorrenza, le risorse naturali del paese. L’appello del Partito di Aung San Suu Kyi  mette in luce che le sanzioni economiche potrebbero essere modificate unicamente in cambio di concreti passi in avanti sul terreno della democrazia, del rispetto dei diritti umani e di un ambiente economico sano. Il recente documento dell’NLD sulle sanzioni, mostra come il re sia nudo. Non bisogna dimenticare che alla fine del 2010 il Rappresentante speciale ONU per  la Birmania Ojea Quintana aveva proposto la costituzione di una commissione di indagine ONU sui crimini di guerra e contro l’umanità, commessi dalla giunta. Una giunta che ha messo in cassaforte la sua libertà futura, garantendo nella costituzione, l’impunibilità dei suoi membri per la violazione dei diritti umani, passata, presente e futura.

La storia di Win Tin è un monito per la società civile del mondo, ma soprattutto per le diplomazie più realiste del re, che sempre più  si affannano per esserci, dimenticando gli oltre 2.200 prigionieri politici, le decine di migliaia di persone costrette al lavoro forzato, allo sminamento senza alcun mezzo di protezione, la confisca delle terre, gli oltre cinquecentomila rifugiati interni, i bambini soldato, gli stupri, le torture, le uccisioni.

Ecco  la storia di un uomo come Win Tin ci lascia un testimone importante. Parla a tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti nella vicenda birmana, ma anche in altre lotte per la democrazia in giro per il mondo e indica nell’ impegno politico, nella solidarietà ma anche nel sostegno finanziario, gli strumenti perché la democrazia non possa essere raggiunta, magari facendo leva su uno dei talloni di Achille della nuova dittatura in abiti civili.

 

Cecilia Brighi