U Maung Maung, presidente della Confederation of Trade Unions Myanmar, che è stato in esilio dal 1988 al 2012,
sottolinea come “l’Asean abbia mentito tre volte. Nel 1988, nel 1990 e subito dopo questo colpo di stato del 2020.
Chiediamo all’Asean di smetterla di fingere di fare qualcosa, per bloccare invece le azioni delle Nazioni Unite sui
militari.”
Ci sono volute due ore di riunione in tutto, per discutere i tre punti all’ordine del giorno, uno dei quali riguardava il
colpo di stato militare birmano. Immaginiamo il complesso lavoro preparatorio, propedeutico alla pubblicazione della
dichiarazione del Chair, e dei cinque punti di impegno concordati tra i dieci.
Peccato che a nessuno dei governi fosse passata per la testa l’idea di consultare, neanche informalmente o
riservatamente i rappresentanti dell’opposizione democratica. Tra i cinque punti concordati, non vi è alcuna menzione
all’impegno per la liberazione dei 3.000 prigionieri politici, a partire dal Presidente della Repubblica e dalla leader
Aung San Suu Kyi, si menziona alcun cronogramma o scadenza per la attuazione dei singoli punti.
Il giornale birmano The Irrawaddy riporta le dichiarazioni del primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong sulla
posizione del comandante delle forze armate birmane, responsabile del colpo di stato: “ci ha ascoltati e ha dichiarato
che avrebbe accolto i punti che considerava utili; che non era contrario ad un ruolo costruttivo dell’ASEAN o ad una
visita di una delegazione ASEAN o, all’assistenza umanitaria, e che sarebbero andati avanti e si sarebbero impegnati
con l’ASEAN in modo costruttivo “.
Quindi, in realtà, non vi è stato nessun impegno del capo della giunta, sui cinque punti. L’ASEAN come già in passato,
dimentica chi sono i responsabili degli oltre 730 morti, delle centinaia di feriti, delle torture, degli stupri e degli
arresti avvenuti in questi 83 giorni.
A conferma della irrilevanza sostanziale degli impegni dichiarati, i media birmani considerano il viaggio di Min Aung
Hlaing come un trionfo diplomatico. Mentre il giornale ufficiale della giunta: The New Light of Myanmar, fa un ampio
racconto del vertice, ma senza menzionare in alcun modo la dichiarazione conclusiva del Chair e tanto meno i cosiddetti
5 punti condivisi anche dal il leader golpista birmano. Come se nulla fosse stato deciso.
U Moe Zaw Oo, viceministro degli esteri del NUG ha dichiarato a The Irrawaddy che: “La richiesta dell’ASEAN di
porre fine alla violenza dovrebbe essere collegata ad azioni concrete, se tale richiesta non verrà attuata. Lo stesso vale
per il rilascio dei prigionieri politici. L’ASEAN deve avere un piano concreto su cosa fare, se queste richieste non
verranno soddisfatte “. Quindi sarà fondamentale che la UE non deleghi la soluzione all’ASEAN, rafforzando invece
l’iniziativa internazionale attraverso i cosiddetti “likeminded countries”, per costruire uno stato democratico e federale,
magari, come suggerito dal Canada, riattivando il gruppo di 22 paesi, costituitosi all’ONU nel periodo della crisi
Rohingya. Sarà fondamentale mentre l’ASEAN deciderà come e con chi dialogare, che si lavori ad un ampio embargo
sulle armi, ad una no flight zone, per impedire gli attacchi dell’aeronautica militare birmana sui villaggi etnici e si
sostengano gli ormai 250.000 displaced.
Il punto di riferimento per il futuro dovrà essere quanto chiesto dal popolo birmano. Il complicato percorso verso la
soluzione stabile, passa anche attraverso il superamento del dominio dell’esercito sul paese. Ma il passo imprescindibile
per garantire che si arrivi ad un dialogo equo tra le parti passa per la liberazione incondizionata dei leader politici e
perché l’ASEAN si impegni a lavorare sotto l’egida dell’ONU, attraverso la sua Inviata speciale Christine Shraner
Burgener, a cui ancora oggi, è stato negato l’accesso in Birmania e l’incontro con i prigionieri politici.