Il 19 giugno Aung San Suu Kyi compie 64 anni. Quasi sicuramente li compirà in carcere - Articolo di Cecilia Brighi
Tratto da
Articolo21 - “Se Aung San Suu Kyi rimane in carcere, dovremmo avere il coraggio
di incarcerare simbolicamente la giunta militare birmana circondando le ambasciate
birmane in tutti i paesi” così ha aperto il suo intervento al Congresso
CISL, Maung Maung, Segretario Generale del sindacato clandestino birmano FTUB e Segretario Generale delll’NCUB, la più grande alleanza di organizzazioni
democratiche birmane.
Un Congresso che la CISL ha dedicato ad Aung San Suu Kyi
e alla lotta e al coraggio di una donna e di un popolo che lotta da anni
per la democrazia e I diritti umani.
Oggi, ancora
una volta la giunta militare sfida la comunità internazionale con l’arresto
della leader birmana Aung San Suu Kyi, a pochi giorni dalla scadenza dei suoi
arresti domiciliari che scadono il 27 marzo. Ancora una volta la sfida serve a verificare la serietà delle parole
delle istituzioni internazionali e dei governi.
E’ noto che l’arresto
della Aung San Suu kyi serve a isolare e zittire la leader, come tutta
l’opposizione ormai in carcere, in vista delle elezioni del 2010 e a
verificare se le istituzioni internazionali sono tigri di carta o meno.
Elezioni importantissime, quelle del prossimo anno, perché la giunta possa
rifarsi il make up di fronte al mondo e ai rampanti interessi
economici e politici di governi e imprese. Forse i militari birmani nel tastare sfrontatamente il terreno sanno già
che il rischio per loro non è poi così tanto alto. E forse
non hanno tutti i torti nel farsi beffa della comunità internazionale.
Alte in questi giorni sono state le note di condanna.
Una sfilza di primi
ministri e di Ministri degli Esteri hanno fatto dichiarazioni alla stampa.
Ma chi chiedeva di superare i rituali e di passare ad una azione
più incisive, (ovviamente non violente) ancora oggi rimane deluso.
Basta leggere lo scarno comunicato emesso a conclusione del Consiglio dei
Ministri Europeo tenutosi il 18 maggio scorso: “Il Consiglio ha
valutato gli ultimi sviluppi nel paese. Ha condannato duramente l’arresto della
leader dell’opposizione Daw Augn San Suu Kyi alcun giorni prima della scadenza
prevista dei suoi arresti domiciliari e ha chiesto il suo immediato rilascio.
Il Consiglio ha richiamato che all’atto del rinnovo delle misure restrittive
della UE contro la Birmania nell’arile 2007 aveva sottolineato la sua
disponibilità a emendare o a rafforate tali misure alla luce degli sviluppi nel
paese. Il Consiglio ha chiesto ai suoi organismi preparatori di esaminare
ulteriori passi. Ha anche concordato di aumentare il dialogo con I paesi
asiiatici sulla Birmania.”
Ovviamente questa dichiarazione veramente “essenziale” mostra
quanto l’Europa sia divisa. Le sanzioni europee, in atto solo dal marzo 2008
sono come un colabrodo perché non sono state adottate contemporaneamente
adeguate misure di monitoraggio per prevenire la loro violazione,
soprattutto attraverso la triangolazione nella importazione di prodotti. Triangolazione
che passa ancora oggi soprattutto da Thailandia e Cina. Ricostruire la
provenienza dei prodotti importati sarebbe fondamentale. Quali possono
essere i passi successivi non è dato sapere.
Le organizzazioni democratiche birmane, tra cui il sindacato, da sempre
chiedono non solo un monitoraggio stretto delle sanzioni, ma soprattutto
il loro ampliamento per includere soprattutto i settori assicurativi e
finanziari, impedendo alla giunta e alle imprese a questa legate di effettuare
transazioni in euro. Questo tipo di sanzione è stato adottato con successo dal
governo degli Stati Uniti impedendo così che la giunta e i loro
amici possano effettuare transazioni in dollari. Una decisione semplice
che contribuirebbe a strangolare economicacmente la giunta e a
costringerla ad un tavolo di dialogo. Mentre il blocco delle assicurazioni e
riassicurazioni paralizzerebbe aerei, navi e imprese che non avendo
più la copertura assicurativa non potrebbero più muoversi, almeno fino a quando
non si riorganizzassero. La maggior parte del mercato assicurativo e
riassicurativo è in Europa e questo garantirebbe una efficacia della
decisione. Alcune grandi imprese assicurative come l’inglese Lyodd, sembra si
siano per altro dichiarate disponibili.
Se guardiamo
poi al Consiglio di Sicurezza, questo finalmente si è pronunciato, Ma
anche qui, vista la gravità della vicenda ci si sarebbe aspettato la
approvazione di una risoluzione urgente. In realtà si è riusciti ad
adottare solo un comunicato stampa di condanna. Altro segnale preoccupante sta
nel fatto che questo comunicato non è stato letto dal Presidente di turno
del consiglio di Sicurezza, l’ambasciatore Russo a significare i problemi e le
divisioni all’interno di questo organismo. Il comunicato usa un linguaggio diplomatico chiaro. Esprime la “preoccupazione”
del Consiglio sull’impatto politico dei recenti sviluppi circa Aung San Suu
Kyi, sottolinea l’importanza del rilascio di tutti i prigionieri
politici, però senza menzionare esplicitamente la liberazione della leader
birmana. Da ultimo è positivo il richiamo alla necessità che il governo
birmano crei le condizioni necessarie per un dialogo genuino con
l’opposizione birmana.
Ovviamente questo risultato è il frutto
della cautela di Cina e Russia che vogliono a tutti i costi
preservare i loro rapporti priviliegiati con la giunta. Il governo cinese in
questi giorni, ha infatti fatto naufragare su questo punto il dialogo
bilaterale con la UE. Il portavoce del Ministro degli esteri cinese
al termine dell’incontro ha dichiarato alla stampa che “ le
questioni della Birmania dovrebbero essere decise dal popolo birmano.
Come vicini della Birmania speriamo che le parti principali in Birmania
utilizzino il dialogo per raggiungere la riconciliazione, la stabilità e lo
sviluppo.” Quindi nessuna interferenza, e chiaramente nessuna menzione della
necessità di costruire un percorso verso la democrazia.
Tutto ciò mostra quanto sia difficile la strada per il rilascio di
Aung San Suu Kyi .
La giunta militare ovviamente sta a guardare. Avrebbe potuto chiudere il
processo in un giorno solo, invece sta tastando le reazioni
internazionali. Se la comunità internazionale si mostrasse decisa forse
qualche cosa potrebbe cambiare e qualche spiraglio potrebbe aprirsi. Intanto la
giunta sta cercando di infangare l’immagine della leader birmana, con una serie
di provocazioni inaccettabili di cui non vale neanche la pena parlare e dargli
risonanza.
La prossima settimana, proprio nei giorni che segnano la
teorica scadenza degli arresti domiciliari si riunisce ad Hanoi il vertice Asem
(europa Asia) e successivamente il vertice Europa Asean.
È importante che i governi chiedano urgentemente l’invio in Birmania di
Ban ki-moon segretario Generale dell’ONU, dell’inviato speciale della UE Piero
Fassino e del Segretario generale dell’Asean Surin, con l’obiettivo di chiedere
l’immediato rilascio della leader birmana.
Ovviamente tale missione è estremamente delicata e vanno identificati
chiaramente gli obiettivi e soprattutto gli strumenti con cui cercare di
raggiungerli.
Mentre l’Onu dovrebbe immediatamente chiedere al Conisiglio di
Sicurezza la introduzione di un embargo generale sulle armi, la UE
dovrebbe più chiaramente indicare la propria strategia: se su
alcuni punti questa può essere condivisa, soprattutto per
quanto riguarda la richiesta (ovvia) del rilascio immediato di Aung San
Suu Kyi, degli altri prigionieri politici e l’avvio del dialogo tripartito per
la riconciliazione, su un punto la posizione UE strategia
appare a dir poco ingenua.
La UE chiede alla giunta infatti, come terzo elemento strategico, un
quadro di garanzie chiare rispetto al processo elettorale ed una legge
elettorale in linea con gli standard internazionali e la presenza di
osservatori internazionali alle elezioni. Ma di che elezioni parla la UE?
Eppure tutti sanno che le elezioni del 2010 servono alla giunta solo
per ricostruire uno straccio di legittimità internazionale. Un finto
parlamento e una finta democrazia. Le elezioni serviranno a votare un
parlamento e un sistema istituzionale fondato su una costituzione decisa dalla
giunta per la giunta, a porte chuse impedendo la partecipazione della
opposizione.
Sarebbe quanto meno ingenuo pensare, soprattutto dopo il
referendum dello scorso anno, nel corso del quale la gente è stata costretta a
votare secondo il volere della giunta, che basti una legge
elettorale o alcuni osservaori internazionali a garantire che
si volti pagina.
Il segretario del sindacato birmano, Maung Maung in questi giorni
sta avendo una fitta rete di incontri. Ha potuto illustrare le richieste e la
strategia delle organizzazioni democratiche birmane in un incontro con
l’Onorevole Craxi, sottosegretaria agli Esteri, all’inviato speciale della UE
Piero Fassino, al Presidente della Provincia di Roma Zingaretti.
Maung Maung ha sottolineato come
“oltre alla liberazione della Aung San Suu Ki e degli altri prigionieri
politici, prima delle elezioni vi deve essere una revisione congiunta
della costituzione. Questa revisione deve cancellare il diritto dei militari di
nominare il 25% del parlamento, che i prigionieri politici e gli ex
prigionieri politici non possano essere eletti e non possano votare, che
si costituisce uno stato centralizzato, mentre il paese è composto da
stati e minoranze etniche che da sempre chiedono un sistema federale che li
garantisca.” “ la revisione della costituzione viene
richiesta dal governo e dal parlamento in esilio e da tutte le
organizzazioni democratiche tra cui il sindacato. L’Unione Europea deve
raccogliere queste richieste che provengono da organizzazioni
rappresentative.”
Il sindacalista birmano ha chiesto al governo italiano di appoggiare
l’allargamento delle sanzioni europee, di sostenere la richiesta di deferire la
Birmania alla Corte Internazionale di Giustizia per la violazione del lavoro
forzato e soprattutto di fare pressione sulla giunta militare perché accetti
una missione urgente del Segretario generale dell’ONU, di Piero Fassino,
e del Segretario generale dell’Asean, perché come dopo il ciclone Nargis,
questi interventi possono sbloccare la situazione.
“Solo a fronte di
segnali tangibili come la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli altri
prigionieri politici e l’apertura del dialogo con tutte le parti, alcune delle
sanzioni potrebbero essere rimosse”.
Maung Maung ha anche ribadito la richiesta di incremento delle sanzioni europee
mirate.
Insomma, la
situazione attuale impone un cambiamento deciso di marcia. Impone il
superamento degli egoismi nazionali. I governi, primo tra tutti quello italiano
e i parlamenti dovrebbero finalmente da un lato rafforzare le sanzioni
mirate, e dall’altro il dialogo negoziale con Cina, India e Russia sulla
base di obiettivi chiari.
La diplomazia sembra invece a corto di idee e di
proposte e soprattutto sembra sempre trovare ostacoli insormontabili alle
proposte lanciate da una opposizione birmana che lavora insieme e che mantiene
un approccio non violento.
Il 27 marzo data di scadenza degli arresti domiciliari è dietro l’angolo. Il 19
giugno Aung San Suu Kyi compie 64 anni. Quasi sicuramente li compirà in
carcere. Chi sa se al suo posto agli arresti domiciliari ci fossero i
leader politici che hanno permesso un comunicato europeo così “scarno” o
gli ambasciatori del Consiglio di Sicurezza? Bisognerebbe chiedergli di
chiudere gli occhi per un minuto e cercare di mettersi nei panni di una donna,
sola in una grande casa da anni. Sola contro il più grande esercito del
sud est asiatico. Di mettersi nei panni di una donna coraggiosa e malandata in
salute.
Per ora chi legge dovrebbe provare questo piccolo esercizio di
pazienza: chiudete gli occhi per un minuto. Un solo minuto immaginate di essere agli
arresti da anni, senza poter vedere i vostri figli, senza aver potuto vedere
vostro marito morente, senza poter andare al cinema, vedere la
televisione, amare, parlare, uscire per vivere. Immaginate tutto ciò
mentre qualcuno vi legge il comunicato dei ministri europei.
Cosa provereste?
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