Yangon (AsiaNews) – In quanto premio Nobel per la pace, Aung San
Suu Kyi ha una responsabilità morale “nell’ammorbidire le tensioni fra
la maggioranza buddista e la comunità musulmana” del Myanmar. La leader
della Lega nazionale per la democrazia, vincitrice delle ultime
elezioni, “dovrebbe parlare in modo più aperto” della questione della
minoranza Rohingya, mal sopportata e non riconosciuta nel Paese. È
quanto ha riferito alla Reuters il Dalai Lama durante un’intervista concessa ieri a Washington.
Il leader buddista ha affermato di aver incontrato più volte la
“Signora” e di averle esposto la sua preoccupazione. Suu Kyi avrebbe
risposto che la situazione è “molto complicata”. Tenzin Gyatso ha
aggiunto che alcuni monaci buddisti birmani “sembrano avere
un’attitudine negativa nei confronti dei musulmani”, ma che essi
“dovrebbero ricordarsi del volto del Buddha”. Il riferimento è al Ma Ba
Tha, gruppo ultranazionalista che da tempo si oppone la presenza dei
Rohingya sul suolo birmano e vede con sospetto le religioni diverse dal
buddismo (compreso il cristianesimo). “Se ci fosse Buddha – ha affermato
il Dalai Lama – egli di sicuro proteggerebbe questi fratelli e sorelle
musulmani”.
Il Myanmar è teatro dal 2012 di una lunga serie di violenze
confessionali che hanno causato almeno 300 morti e 140mila sfollati, la
maggior parte dei quali musulmani Rohingya dello Stato Rakhine. Essi,
immigrati dal Bangladesh, non sono considerati cittadini birmani e
vivono in isolamento, rinchiusi in campi profughi. A migliaia tentano la
fuga ogni anno verso altri Paesi del sud-est asiatico.
La questione dei Rohingya è stata risollevata lo scorso aprile,
quando l’ambasciata statunitense a Yangon ha espresso le condoglianza
per un incidente nautico in cui morirono diversi musulmani. In
quell’occasione, i nazionalisti birmani criticarono in modo feroce l’uso
del termine “Rohingya”, chiedendo di appore agli islamici quello di
“bengali”, sottolineando in modo implicito la loro natura di immigrati
irregolari.
Durante la visita del Segretario di Stato americano John Kerry il 22
maggio scorso, Aung San Suu Kyi è intervenuta sull’argomento invitando
entrambe le parti ad evitare l’uso di “termini emotivi che rendono più
difficile trovare una soluzione pacifica al problema”.
Qualche giorno fa il governo birmano ha annunciato un nuovo pacchetto di leggi volto a tutelare l’armonia religiosa
e il rispetto di tutte le fedi. Lo scorso 30 maggio, inoltre, Yangon ha
formato una nuova Commissione che sarà guidata da Suu Kyi e che si
occuperà della pacificazione dello Stato Rakhine, dove alcuni gruppi
ribelli combattono ancora il governo centrale.