Risposta a interrogazione parlamentare da parte del Sottosegretario On. Boniver, su situazione in Birmania
Seguono le interrogazioni
3-01648
,
3-01756
e
3-01949
sulla situazione politica in Birmania.
Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tali interrogazioni.
BONIVER, sottosegretario di Stato per gli affari esteri.
Signor Presidente, sono molto grata al senatore Martone, che mi dà
l’opportunità di rispondere in modo spero puntuale ai numerosi quesiti
che egli pone (tra l’altro, ho visto che un’interrogazione è
addirittura di giugno dell’anno scorso).
L’Italia,
a livello sia bilaterale che multilaterale, cioè nell’ambito delle
Nazioni Unite e dell’Unione Europea, guarda con costante e quotidiana
attenzione alla questione birmana, avendo ripetutamente richiesto a
quel regime il rispetto dei fondamentali diritti umani ed un reale
processo di democratizzazione, nonché, fino a pochi giorni dopo
l’ulteriore arresto, avvenuto nel maggio 2003, con forza, la
liberazione del Premio Nobel signora Aung San Suu Kyi, agli arresti
domiciliari oramai da un decennio.
Il
Governo italiano ha adottato numerose iniziative internazionali nei
confronti della Giunta militare, che, come tutti sanno, governa la
Birmania ininterrottamente dagli anni Sessanta.
In
ambito europeo, l’Italia ha contribuito direttamente, fin dal 1996,
all’adozione di quella posizione comune dell’Unione Europea sulla
Birmania che è stata ripetutamente modificata, rinnovata e, da ultimo,
inasprita con ulteriori misure sanzionatorie in vigore dal 25 ottobre
2004.
All’ONU,
l’Italia partecipa al Gruppo di lavoro informale sulla Birmania presso
il Segretario generale e mantiene regolari contatti con il
Rappresentante speciale del Segretario generale per la Birmania, il
malesiano ambasciatore Razali Ismail, sostenendo attivamente il suo
operato.
L’Italia
continua a fornire, inoltre, il proprio sostegno all’Organizzazione
internazionale del lavoro e a condannare l’uso del lavoro forzato da
parte della Giunta birmana. Abbiamo, inoltre, partecipato regolarmente
alla redazione della risoluzione sulla Birmania presentata dall’Unione
Europea in sede di Commissione dei diritti umani.
Anche
sul piano bilaterale il Governo svolge un ruolo attivo. Nei contatti
che ho avuto, ho sempre inserito nei dialoghi politici la questione
birmana, che è sempre stata molto preminente; questi contatti sono,
come lei può immaginare, pressoché quotidiani.
Nel
dicembre 2003 io stessa ho rappresentato l'Italia alla riunione - cui
hanno partecipato esponenti del Governo di Yangon - del "Bangkok
Process", tentativo di soluzione diplomatica della questione promosso
dal Governo tailandese, che purtroppo non ha però avuto alcun successo.
Nel
2004, nel corso delle mie missioni nel Sud-Est asiatico, ho avuto
numerosi colloqui su tale questione con l'ambasciatore Razali, con i
Ministri degli esteri della Thailandia, della Malaysia, del Vietnam e
delle Filippine e con esponenti del Parlamento e del Governo in esilio
birmano, nonché consultazioni dirette con i miei omologhi europei.
Proprio
due giorni fa, durante i lavori per l'apertura della sessione della
Commissione per i diritti umani di Ginevra, ho parlato della questione
in un colloquio con Louise Harbour, Alto commissario per i diritti
umani delle Nazioni Unite; ne ho parlato anche ieri con il segretario
generale della CISL Pezzotta per vedere cosa ulteriormente si possa
immaginare di fare per smuovere una situazione che sembra veramente
incancrenita.
Relativamente
alla questione degli arresti domiciliari del premio Nobel Aung San Suu
Kyi, il Governo italiano chiede quotidianamente la liberazione della
signora. Come è noto, ella rimane sottoposta ad un intenso regime di
custodia e di sorveglianza che la isola praticamente non soltanto dal
mondo, ma anche dal suo partito, l'NLD (National League for Democracy),
che è stato escluso dal processo di democratizzazione che la Giunta
militare del Myanmar ha timidamente riaperto a partire dal 17 febbraio
di quest'anno. Le uniche visite che le sono concesse, e che ad ogni
modo sono ristrette, sono quelle del suo medico personale.
In
occasione del Vertice UE-ASEAN di Jakarta del 9-10 marzo 2005, ho
personalmente svolto un intervento nel quale ho nuovamente sollecitato
l'immediata liberazione della leader politica,
ribadendo l'esigenza non più rinviabile di includere nel lento e
difficile processo di democratizzazione birmana l'NLD.
Questa
nostra azione a favore del rispetto dei diritti umani in Birmania si
lega strettamente alla costante attenzione con la quale la comunità
internazionale nel suo complesso, salvo rarissime eccezioni, continua a
seguire la questione. Il 16 novembre scorso, al termine di un processo
negoziale condotto dalla Presidenza olandese dell'Unione Europea, è
stata adottata all'unanimità dalla Terza Commissione dell'Assemblea
generale delle Nazioni Unite la risoluzione di iniziativa comunitaria
sulla situazione dei diritti umani in Myanmar.
Constatata
l'assenza totale di miglioramenti sul terreno, ma anzi constatando il
continuo deterioramento della situazione circa il rispetto dei diritti
fondamentali in quel Paese, l'Unione Europea ha deciso di presentare
anche quest'anno una risoluzione di condanna del Myanmar alla 61a Commissione per i diritti umani di Ginevra, attualmente in fase di svolgimento.
Della
situazione dei diritti umani in Myanmar hanno parlato il 3 marzo scorso
a Bruxelles Javier Solana e Razali. Il 18 novembre scorso, invece, la
Giunta militare del Myanmar ha annunciato l'inizio del rilascio di
circa 4.000 detenuti; nessun dettaglio è stato fornito sull'identità
degli stessi o sulla data di conclusione dei rilasci. Non è noto, ad
esempio, se verranno rilasciati dei detenuti politici.
Secondo
quanto riferiscono i capi missione dell’Unione Europea accreditati a
Yangon (già Rangoon), il perdurante reclutamento ed impiego dei
bambini-soldato nelle forze militari e in alcuni gruppi armati continua
a costituire un problema di vastissima proporzione nel Paese, come ha
sottolineato anche il Comitato per i diritti del fanciullo.
Con
riferimento al fenomeno dell'utilizzo del lavoro forzato da parte delle
autorità civili e militari birmane, il 23 febbraio scorso la
delegazione di alto livello della ILO ha deciso di interrompere la
visita nel Paese, ritenendo che mancassero le condizioni necessarie per
continuare i colloqui con il capo del regime, il generale Than Shwe.
In
occasione del quinto Vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'ASEM
di Hanoi, che si è svolto dal 7 al 9 ottobre dell'anno scorso,
l'attenzione europea si è concentrata sulla presenza della Birmania,
rappresentata - come era stato auspicato dall'Unione Europea - ad un
livello inferiore rispetto a quello di Capo di Stato e di Governo.
Proprio
il problema della presenza del Governo di Yangon al vertice di Hanoi ha
acceso un dibattito politico tra i Paesi dell'Unione che ha portato ad
un ulteriore inasprimento delle posizioni e quindi delle misure
sanzionatorie nei confronti della Birmania, ma senza successo. La
perdurante situazione di grave violazione dei diritti umani e la
detenzione continuata di Aung San Suu Kyi hanno confermato la grande e
crescente preoccupazione europea per l'assenza totale di progressi da
parte del regime di Yangon.
La
Presidenza di turno dell'Unione, pur sottolineando l'importanza del
dialogo euroasiatico, ha ricordato come la Birmania non abbia
soddisfatto in tempo per il Vertice le condizioni indicate dai Ministri
degli esteri europei. Di conseguenza, sono state adottate nuove misure
restrittive nei confronti dei militari birmani.
Più
recentemente, nel corso di un incontro che si è svolto a livello di
alti funzionari a Jakarta, la Presidenza lussemburghese ha ribadito la
preoccupazione con cui in Europa si guarda agli sviluppi della
situazione interna birmana e ha nuovamente invitato le autorità di
Yangon ad offrire la massima cooperazione all'inviato speciale Razali,
che non può mettere piede in Birmania da molti mesi, nonché alle
agenzie dell'ONU impegnate nel Paese.
Da parte europea la liberazione del premio Nobel e la piena partecipazione della National League for Democracy alla Convenzione nazionale sono state confermate come la condicio sine qua non
per rivedere la politica dell'Unione Europea nei confronti del regime
di Yangon. Nel colloquio a livello di alti funzionari, il funzionario
che rappresentava il Governo birmano ha definito Aung San Suu Kyi una
minaccia per la sicurezza della Birmania.
Venendo ai singoli quesiti contenuti nell'interrogazione
3-01756
, desidero far presente quanto segue.
In
relazione alla posizione della delegazione italiana, ricordo che nella
fase preparatoria del vertice ASEM l'Italia si è sempre espressa a
favore della prosecuzione del dialogo euroasiatico, compatibilmente con
la posizione comune dell'Unione europea.
In
riferimento all'eventuale coinvolgimento di aziende italiane in
Birmania, il Ministero degli esteri non è a conoscenza di alcuna
azienda italiana al momento impegnata, direttamente o indirettamente,
nel Paese.
Affinché
la giunta militare birmana adempia alle richieste europee, i Ministri
degli affari esteri dell'Unione, nel corso del Consiglio affari
generali e relazioni esterne dell'11 ottobre dell'anno scorso, hanno
deciso di inasprire le misure sanzionatorie mediante: l'estensione
dell'elenco dei membri della Giunta ai quali è oggi negato il visto di
ingresso in Europa; il divieto per le imprese europee di finanziarie le
imprese birmane di proprietà dello Stato; ulteriori misure per
penalizzare l'esportazione illegale di legname dalla Birmania;
l'incremento dell'assistenza dell'Unione alla popolazione birmana, con
programmi definiti di concerto con la società civile e con gruppi quali
la National League for Democracy, gestiti da ONG o
agenzie delle Nazioni Unite. Tutte queste decisioni sono state
formalizzate nella nuova posizione comune adottata il 25 ottobre
dell'anno scorso.
Alla
luce di quanto sopra indicato, non si ritiene opportuno, al momento,
prendere in considerazione l'adozione di ulteriori sanzioni economiche.
Da sempre però l'ASEM, compresi i rappresentanti di Paesi asiatici,
sostiene l'importanza di un dialogo tra autorità, partiti politici e
minoranze birmane, così come ha sempre sostenuto il ruolo dell'inviato
speciale di Kofi Annan, l'ambasciatore Razali, nel facilitare il
dialogo tra di esse. Non si è a conoscenza di una task force
in ambito ASEM per la Birmania, anche perché difficilmente otterrebbe
il necessario consenso di tutti gli Stati membri. Si pensa,
evidentemente, ad alcuni tra gli Stati membri dell’ASEAN.
Nei
confronti della Birmania l'Italia ha deciso, fin dal 1996, di
coordinarsi con gli altri Paesi dell’Unione Europea per esprimere una
politica unitaria, concretizzata in una posizione comune. E' questo il
quadro politico-normativo entro il quale l'Italia si muove nei
confronti del Paese asiatico.
La
Presidenza dell'ASEAN è esercitata a rotazione annuale dagli Stati
membri dell'Associazione. Non è pertanto facoltà del Governo italiano
rifiutarla. Non saranno in ogni caso risparmiate iniziative nei
confronti dei Paesi ASEAN affinché questi esercitino pressioni sulla
Giunta militare birmana volte ad ottenere cambiamenti sostanziali,
prospettando anche possibili conseguenze negative sulle relazioni
UE-ASEAN in caso di mancato miglioramento della situazione.
E’ stata una piacevole sorpresa vedere che molti dei leaders
dei Paesi dell’ASEAN, a ridosso dell’ultimo arresto del premio Nobel
Aung San Suu Kyi, avevano espresso la più viva condanna. È una novità
assoluta rispetto alla cosiddetta regola della non interferenza negli
affari interni dei Paesi membri dell’ASEAN. Anche ciò, purtroppo, non
ha ottenuto alcun tipo di reazione positiva.
Infine,
in sede ONU l'Italia sostiene fermamente la necessità che l'inviato
speciale ambasciatore Razali torni ad avere libero accesso in Birmania.
Nel caso della riunione del "Bangkok Process" avevo fatto una proposta
al rappresentante birmano -che ascoltava con attenzione, anche se
naturalmente non ha mai dato una risposta - affinché l’ambasciatore
Razali potesse ottenere una sorta di visto permanente di ingresso in
Birmania. Anche questo è stato negato.
In
risposta all'interrogazione 3-01949, desidero sottolineare che non
risulta concluso un accordo italo-birmano per importazione diretta di
legname pregiato. Quanto riportato dall'agenzia di stampa cinese Xinhua News non trova, infatti, riscontro in intese formali o informali tra i Governi dei due Paesi.
L'esportazione
di legname da Myanmar verso l'Italia avviene sulla base di regolari
trattative commerciali tra privati imprenditori, attività del resto non
vietata dalla Posizione comune dell’Unione europea. Le importazioni
italiane di legname da Myanmar nel corso del 2003 sono state alquanto
modeste, ammontando a circa l’uno per cento del totale del legname
importato dal nostro Paese. Nei primi sei mesi del 2004, infine, non
risultano importazioni di legname dal Myanmar.
Il
Governo condivide la preoccupazione della comunità internazionale in
merito alla deforestazione indiscriminata in atto in Myanmar;
apprensioni sono state recepite dal Consiglio dell’Unione europea, il
quale ha a sua volta incaricato la Commissione di predisporre
iniziative volte ad assicurare uno sfruttamento sostenibile delle
risorse naturali.
A tale proposito, la Commissione europea ha messo a punto un piano d'azione nel settore forestale - FLEGT-Forest law enforcement, governance and trade - per combattere più efficacemente il fenomeno del cosiddetto illegal logging.
Nel corso della sessione del Consiglio agricoltura e pesca dell’Unione
Europea, tenutosi il 24 gennaio 2005, la Presidenza ha espresso
l'auspicio di giungere ad un accordo sulla proposta concernente
l'importazione di legname nell'Unione Europea (FLEGT), che prevede
l'introduzione di un sistema di concessione su base volontaria di
licenze per le importazioni.
Come
vede, senatore Martone, tutto ciò che potesse essere fatto dal punto di
vista politico, diplomatico e sanzionatorio, è stato fatto. Rimane,
francamente, la frustrazione dell’intera comunità internazionale nei
confronti di un Paese, ormai completamente isolato sul piano
politico-diplomatico sulla scena internazionale, che persiste tuttavia
quotidianamente nella sua durissima politica di repressione dei più
fondamentali diritti dei lavoratori, dei cittadini e naturalmente anche
di Aung San Suu Kyi.
MARTONE
(Verdi-Un). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARTONE (Verdi-Un).
Ringrazio il sottosegretario Boniver per la sua disponibilità a
discutere in Parlamento della posizione italiana nei rapporti tra la
Birmania e l’Unione Europea. Questo spiega che spesso e volentieri le
interrogazioni non sono intese come avente carattere sanzionatorio e
censorio, ma anche quale opportunità di discussione e di dialogo
politico, soprattutto su una questione su cui ci sentiamo uniti da una
comune preoccupazione.
Ricordo
che questo Parlamento discusse, ben un anno e mezzo fa, alcune mozioni
sulla Birmania, che riguardavano la liberazione di Aung San Suu Kyi, ma
stranamente non furono mai poste in votazione. Vorrei quindi esortare
la Presidenza e l'Aula a cercare di recuperare questo ritardo
abbastanza singolare e mettere all'ordine del giorno la votazione di
quelle mozioni. Ritengo sia un fatto veramente importante, perché può
veramente contribuire ad appoggiare ciò che il Governo italiano e
l'Unione Europea stanno cercando di fare rispetto ad una situazione
che, oggi come in passato, di fatto sembra essere senza via d'uscita.
La
situazione si è andata aggravando ulteriormente dopo il colpo di Stato
del 19 ottobre 2004, con l'allontanamento del generale Khin Nyunt, il
quale aveva a suo tempo cercato di dare vita ad una Convenzione
nazionale, che però, pur essendo stata riconvocata anche di recente,
non dà alcuna garanzia di una svolta democratica: l'LND e gli altri
partiti prodemocrazia la boicottano, anzi non sono neanche invitati;
per la verità, non hanno alcuna voce in capitolo.
La
bozza di Costituzione che i generali hanno messo insieme, di fatto,
esclude ogni obbligo legale nei confronti dei militari, il Parlamento
che vorrebbero costituire è nella sostanza limitato. La proposta
dell'SPDC non ha alcun limite temporale, gli attori chiave dell'ipotesi
di soluzione democratica della crisi birmana sono esclusi, la road map è di fatto fissata unilateralmente dai generali.
Risulta, pertanto, evidente, che sia il processo di Bangkok sia questa road map
e questa Convenzione nazionale proposte dalla Giunta birmana non hanno
alcuna possibilità d'imprimere una svolta alla situazione.
Ora
è avvenuto un fatto nuovo, poiché qualche settimana fa si è riunita in
quel Paese per la prima volta un'ampia coalizione di forze
democratiche, che ha messo a punto un programma generale condiviso -
fatto singolare, perché in passato c'erano addirittura diverse road map
alternative proposte da alcuni gruppi etnici e dalle forze di
opposizione democratiche birmane in esilio - e unitario, che ha fissato
una serie di processi per promuovere un'unione federale basata su un
dialogo tripartito.
Riteniamo
opportuno che il Governo italiano possa sviluppare iniziative a
sostegno di questo processo, che racchiude alcuni princìpi importanti
anche per il futuro della Birmania e della sicurezza di tutta la
regione. Si parla, infatti, di uguaglianza, di autodeterminazione,
dell'ipotesi di uno Stato federale, di riconoscimento di diritti delle
minoranze, di democrazia, di parità dei sessi, di rispetto dei diritti
umani, del principio della laicità dello Stato e della creazione di un
sistema democratico multipartitico. È evidente che questo strumento per
essere credibile e praticabile ha bisogno di opportunità e di pressione
politica.
Aspettiamo, quindi, anche la decisione del Board,
del consiglio di amministrazione dell'OIL, che si riunirà la prossima
settimana e che aspetterà fino all'ultimo una reazione da parte del
Governo birmano rispetto all'inaccettabile limitazione della libertà di
movimento della delegazione OIL, che già la sottosegretario Boniver ha
ricordato.
Auspichiamo
ci possa essere, per lo meno, una presa di posizione, come tante altre
in passato, che continui a riaffermare la preoccupazione della comunità
internazionale, ma anche ad identificare alcune ipotesi alternative.
Ricordo, tra l'altro, che c'è anche una discussione in ambito
internazionale sulla possibilità che tutta la questione birmana possa
essere portata all'attenzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite.
Condivido,
quindi, le preoccupazioni della sottosegretario Boniver e auspico una
svolta che, ad oggi, nei fatti, è veramente molto complicata. Mi
auguro, però, anche che vada in porto questo processo innovativo che
l'opposizione democratica birmana sta mettendo in campo. Vorrei
ricordare che la proposta del National Council of the Union of Burma
(NCUB) prevede, grosso modo, anche la partecipazione dei militari in
questo negoziato. Si tratta quindi di una dimostrazione di buona
volontà e di dialogo, ma la risposta a questa situazione non può
continuare ad essere elusa per sempre.
Confermo,
inoltre, la mia soddisfazione nei confronti dell’operato del Governo
italiano ed auspico anche una presa di posizione più dura nel caso
l’OIL decidesse un inasprimento delle sanzioni.
Per quanto riguarda poi l’importazione di legname, la proposta flegt
dell’Unione Europea, sebbene sembri andare verso una direzione giusta,
ha dei limiti, poiché di fatto ha un carattere volontario, mentre noi
pensiamo che, soprattutto per quanto riguarda l’importazione di legname
proveniente da aree di conflitto, quindi legname insanguinato o
comunque proveniente da aree in cui i diritti umani vengono violati,
essa dovrebbe essere sottoposta a controlli molto più stringenti, non
soltanto volontari, ma più vincolanti. È vero anche che l’importazione
di legname proveniente dalla Birmania in Italia sta registrando un
decremento, però questo non significa certamente abbassare la guardia.