13/11/2010
Che succederà dopo le elezioni? - Un'analisi
Dopo le elezioni, la dittatura militare sceglierà alcuni membri del Parlamento che formeranno il Collegio elettorale composto da tre gruppi. Ciascuno dei quali sceglierà un candidato per la Vice Presidenza. Un gruppo è composto dai parlamentari delle regioni e degli stati, un gruppo da parlamentari dalle township e delle popolazioni ed il terzo di membri dell’esercito che sono in Parlamento. (Puoi scaricare questo stesso articolo nel file in allegato).         

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I Portavoce e i Vice della Camera bassa e alta decidono successivamente se i candidati hanno i necessari requisiti per diventare Presidente e Vicepresidenti e in seguito vi sarà un voto in entrambi i rami del Parlamento per scegliere il Presidente. I due perdenti saranno vice Presidenti.                             

Poiché i militari e i partiti alleati domineranno i rami del Parlamento avranno mano libera nella selezione dei loro candidati.
                                      
Il Presidente e i Vice Presienti NON hanno bisogno di essere rappresentanti eletti o anche rappresentanti dei militari in Parlamento.                      

Se ricoprono dei seggi in Parlamento, devono dimettersi.                 

Il Presidente poi formerà il nuovo governo.                      

Il Presidente ed i Vice Presidenti devono provenire dall’esercito anche se potrebbero essere ex militari.

Il sistema di governo è un sistema presidenziale, non parlamentare. Quasi tutti i poteri di governo risiedono nelle mani del Presidente.                       

A meno che non violi le leggi, il Presidente non è responsabile di fronte al Parlamento.                        

Il Presidente sceglie i ministri del governo.                  

I ministri non devono necessariamente essere membri del Parlamento.                       
Il Parlamento non ha alcun diritto di mettere in discussione il Presidente sulle sue politiche. Il Presidente sceglie se o no desidera riferire al Parlamento.


I PARLAMENTARI NON AVRANNO LIBERTA’  DI PAROLA
 
Ai  Parlamentari non sarà permesso criticare la Costituzione, invece la devono difendere. Così se chiedono un cambiamento democratico, che richiede cambiamenti alla Costituzione, rischiano di essere messi in carcere.

Se un parlamentare fa affermazioni che si ritiengono siano contrarie alla legge, quanto detto verrà rimosso dagli atti parlamentari.                 

Tutte le leggi repressive esistenti rimanogno in funzione, compresa la censura. Così se un parlamentare fa delle critiche è molto improbabile che queste vengano riprese dalla stampa.                  


I MILITARI RIMANGONO AL DI SOPRA DEL PRESIDENTE E DEL PARLAMENTO

I  militari sono indipendenti su tutte le questioni, compreso il loro bilancio, e la gestione delle imprese di proprietà delle forze armate.                     

Il capo delle forze armate decide chi sarà il ministro degli affari interni, il ministro degli affari di confine e il ministro della difesa. Questa prerogativa si attua sia per il Parlamento dello Stato che per quelli regionali.

Le forze armate hanno un diritto di veto su tutte le leggi che vengono approvate in Parlamento, se si ritengono possano rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale o alla solidarietà nazionale. (L’uso della parola “solidarietà”  si ritiene si riferisca a qualsiasi azione delle rappresentanze delle nazionalità etniche nei parlamenti regionali volte a promuovere  e proteggere le loro culture o ad aumentare il livello di autonomia).

I militari possono assumere il controllo del governo in ogni momento se si ritiene vi sia una minaccia all’unità o alla solidarietà nazionale.                         

I militari possono indipendentemente assumere l’iniziativa nell’ambito del paese senza l’approvazione del Parlamento o del Presidente.                      


I POTERI RISIEDONO NEL NUOVO CONSIGLIO PER LA SICUREZZA NAZIONALE E LA DIFESA, NON NEL PARLAMENTO

Il potere reale risiede nell’ambito del NDSC (National Defence and Security Council)  composto da 11 membri, compreso il Presidente ed il Comandante in Capo dei Servizi di difsa.                       

Questa è una transizione dallo SLORC (State Law and Order Restoration Council) che ha preso il potere nel 1988 dopo le rivolte democratiche. Lo SLORC poi, dietro suggerimento di una società di relazioni pubbliche americana, di ha preso il  nome  di SPDC (State Peace and Development Council), ed ora si chiamerà NDSC.                  

Membri:
il Presidente, che deve avere una esperienza militare.
I vice presidenti che devono avere una esperienza militare.
Il Portavoce della Camera Bassa (Pyithu Hluttaw).
Il Portavoce della camera Alta Amyotha Hluttaw.
Il Comandante in capo  dei servizi di Difesa (dell’esercito).
Il Vice Comandante in capo dei Servizi di difesa (dall’esercito).
Il Ministro della Difesa (scelto dai militari).
Il Ministro degli Interni (scelto dai militari).
Il Ministro degli affari esteri.
Il Ministro degli affari di Confine (scelto dai militari).            

Otto delle 11 posizioni saranno occupate da persone attualmente nell’esercito o che sono state nell’esercito, o scelte dai militari.       
Due verranno scelte dal Parlamento controllato dai militari e la posizione finale verrà scelta da un militare in servizio o in pensione.                          


UN SISTEMA NON EQUO IMPOSSIBILE CAMBIARE SENZA L’ACCORDO DELLE FORZE ARMATE

Poiché è necessaria una maggioranza di olte il 75% per cambiare la costituzione è impossibile promuovere un cambiamento democratico senza l’accordo dell’esercito.                          

Qualcuno osserva che mentre l’attuale Parlamento potrebbe essere pieno di partiti pro regime e di militari, nelle future elezioni nei prossimi 5-15 anni  questa situazione potrebbe modificarsi. Anche se per ipotesi si accettasse che per i prossimi 15 anni o più il popolo birmano possa continuare a soffrire  straordinarie violazioni dei diritti umani, compreso gli stupri, le torture, le esecuzioni arbitrarie e algri atti che costituiscono crimini di guerra e contro l’umanità, questo argomento ignora la realtà della situazione in Birmania. I militari hanno un veto costituzionale sulle riforme democratiche ora e nei prossimi 15 anni.                               

Anche se per miracolo le prossime elezioni del 2015 o del 2020  fossero libere ed eque e i partiti proregime perdessero tutti i loro seggi, i militari avend il 25% dei seggi del Parlamento ancora avrebbero diritto di veto sui cambiamenti democratici.                            

Anche se i miracoli diventassero realtà e un gruppo di militari volesse votare con tutti i parlamentari per riformare la costituzione e quei militari non fossero sostituiti dall’esercito prima del voto, il Comandante in Capo dei Servizi di Sicurezza puù per diritto costituzionale, prendere il pieno controllo del paese se decidesse che tali riforme siano una minaccia alla sicurezza o alla solidarietà nazionale.                                

È impossibile per il Parlamento diventare un forum per  fornire un cambiamento democratico a meno che  i militari non siano d’accordo.      

Coloro che affermano che nel lungo periodo il Parlamento potrebbe essere un forum per il cambiamento politico si possono appigliare solo ad una ipotesi, ovvero che il Comandante in Capo dei Servizi di Difesa decida di cedere il potere.         

Una strategia che dipenda solo dalla fortuna e dall’auspicio che ad un certo punto un militare liberale ad un certo punto diventi Comandante in capo, non è semplicemente credibile.    

Per questo Aung San Suu Kyi e la Lega Nazionale per la Democrazia hanno deciso che il futuro dei diritti umani e della democrazia in Birmania risieda fuori del Parlamento e non al suo interno.                                   

Per molti anni il Consiglio di Sicurezza , la Assemblea Generale dell’ONU il Consiglio ONU per i Diritti Umani, il Segretario Generale dell’ONU, la Unione Europea, l’Assean, gli Usa e anche la Cina hano dichiarato che  la strada per un cambiamento genuino sia rappresentata dal dialogo tra il movimento democratico, compresa l’NLD, i rappresentanti etnici e la dittatura: Un dialogo tripartito che dovrebbe portare alla riconciliazione nazionale e alla transizione verso la democrazia.  

Un rilancio dell’impegno ONU per assicurare la realizzazione di tale dialogo con un forte sostegno da parte dei leader del mondo e del Consiglio Di sicurezza ONU, rappresenta una prospettiva maggiore e più veloce per il cambiamento invece delle elezioni farsa e di una costituzione costruita ad arte per mantenere la dittatura.



(Puoi scaricare l'articolo nel file in allegato)


(12 Novembre 2010)