11/09/2007
Interrogazione On. Marco Boato su gravissima situazione in Birmania

Atto Camera

Interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01194
presentata da
MARCO
BOATO
martedì 11 settembre 2007 nella seduta n.202


BOATO. -

Al Ministro degli affari esteri.

- Per sapere - premesso che:

nelle ultime due settimane, come riportato da tutti gli organi di stampa internazionali, sempre più numerose e diffuse sono le manifestazioni di protesta in Myanmar (ex Birmania), a favore dei diritti umani e contro la situazione economica del Paese, represse in modo brutale e illegale da bande armate cui l'esercito «delega» il compito di porre sotto silenzio ogni forma di dissenso nei confronti del regime;

fra gli appelli alla comunità internazionale anche in questi giorni assumono particolare rilievo le lettere dal Myanmar del premio Nobel per la pace, signora Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, da oltre diciassette anni isolata dal mondo, nei confronti della quale, - scrive Federico Rampini su La Repubblica del 6 settembre 2007 - la sorveglianza della giunta militare è stata inasprita, impedendole qualsiasi possibilità di incontro;

il caso del Myanmar è in primo piano sia presso gli organismi internazionali, in primo luogo l'Organizzazione delle nazioni unite, sia nel Parlamento italiano, in cui numerose sono le sollecitazioni al Governo affinché assuma ulteriori iniziative;

nella puntata di domenica 8 luglio 2007 del programma televisivo «alle falde del Kilimangiaro» trasmesso su Rai tre, la vicepresidente del partito lega nazionale per la democrazia, Daw San San, in esilio in Thailandia, durante un'intervista ha ribadito e confermato la drammatica situazione politica, sociale e lavorativa della popolazione birmana che per il 30 per cento, circa 15 milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà ed è vittima di spaventosi abusi e di inaudite violenze da parte della giunta militare. A tale denuncia Daw San San ha aggiunto un serio invito a tutti i turisti affinché non si rechino in Myanmar, per evitare di fornire con i proventi del turismo un'ulteriore fonte di profitto economico e di rafforzamento politico del regime;

nel gennaio del 1947, la Birmania ha conquistato l'indipendenza. Dal 1962, a seguito di un colpo di Stato del generale Ne Win, si è instaurato un regime di stampo socialista, guidato da un «consiglio rivoluzionario» di generali dell'esercito. Nel 1988, un altro colpo di Stato delle forze armate ha dato vita ad un regime militare che ha come presidente e primo ministro il generale Saw Maung. Successivamente la Birmania assume la denominazione ufficiale di «Myanmar». Le elezioni politiche indette nel maggio 1990, che avrebbero dovuto legittimare il governo militare, hanno visto la vittoria schiacciante della lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e figlia di Aung San, padre della Birmania indipendente. La giunta militare non ha riconosciuto il risultato elettorale, iniziando una feroce politica di repressione nei confronti degli oppositori politici (Amnesty international per il 2006 denuncia 1.185 prigionieri politici). Il partito della lega nazionale per la democrazia è stato messo fuori legge e Aung San Suu Kyi, dopo alcuni brevi periodi di libertà, ancora oggi si trova agli arresti domiciliari. In questi anni poco è cambiato e, nonostante l'embargo dell'Unione europea sul materiale bellico per il Myanmar deciso nel 1988 e confermato nel 2002 e nel 2006, il Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo alla guida del Paese non ha compiuto passi significativi verso la democrazia;

nel giugno del 2000, con l'ottantottesima sessione, la conferenza generale dell'organizzazione internazionale del lavoro ha approvato una risoluzione che invita i governi, gli imprenditori e i sindacati a rivedere i loro rapporti con il Myanmar e ad adottare tutte le misure necessarie per evitare che il Paese membro possa trarre profitto da questi rapporti per perpetuare o sviluppare il sistema del lavoro forzato. Negli anni successivi, l'organizzazione internazionale del lavoro ha riaffermato e sostenuto la stessa linea d'intervento e le stesse misure nei confronti del Governo birmano e anche di recente, nel marzo 2007 durante la duecentonovantottesima sessione del consiglio direttivo dell'organizzazione internazionale del lavoro, la questione dell'osservanza da parte del Myanmar della convenzione n. 29 del 1930 sul lavoro forzato è stato oggetto di discussione e di dibattito;

nel maggio 2007, le organizzazioni Cisl, Legambiente, Wwf e Greenpeace hanno promosso la «campagna Birmania» e lanciato un appello per la liberazione di Aung San Suu Kyi e per la difesa dei diritti umani, sindacali, della democrazia, dell'ambiente di questo Paese dove «centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sono tutt'ora costretti al lavoro forzato, da parte sia dei militari, sia delle autorità locali e sono spesso obbligati alle deportazioni forzate, mentre sono comuni la detenzione e le esecuzioni, torture, stupri, utilizzati come mezzo di potere». L'appello è rivolto, in particolare «alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Birmania e alle multinazionali impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas e minerario, nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture, che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti umani, sindacali, ambientali» affinché provvedano a «sospendere i loro rapporti con questo Paese, per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere;

il 21 giugno 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Birmania, la quattordicesima dal 2000 ad oggi, che «condanna la repressione incessante e la persecuzione continua perpetrata dallo State Peace and Development Council nei confronti del popolo birmano» e «invita le industrie che investono in Birmania ad assicurare che i loro progetti siano realizzati nel rispetto dei diritti umani effettivi e, in caso di abuso di tali diritti, a sospendere l'attività nel Paese; esprime il proprio disappunto dinanzi al fatto che taluni Paesi abbiano ritenuto opportuno aumentare sostanzialmente gli investimenti in Birmania, nonostante la disastrosa situazione dei diritti umani nel Paese»;

il 19 luglio 2007, il presidente del comitato internazionale della Croce rossa, Jacob Kellenberger, ha denunciato, attraverso diverse agenzie di stampa, gravi violazioni dei diritti umani nell'ex Birmania e in particolare ha fatto riferimento al lavoro forzato a cui migliaia di detenuti sono costretti dalle forze armate birmane. Inoltre il Myanmar dalla fine del 2005 ha vietato al comitato internazionale della Croce rossa le visite indipendenti nelle carceri, limitando così l'apporto determinante delle organizzazioni umanitarie negli istituti di pena;

Amnesty international, nel rapporto annuale 2007, riporta notizie allarmanti sul Myanmar e denuncia che per il 2006 «la situazione dei diritti umani si è deteriorata nel corso dell'anno, con l'intensificarsi della repressione messa in atto in tutto il Paese dalle autorità nei confronti sia dell'opposizione armata sia degli oppositori politici pacifici. Il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle nazioni unite ha inserito il Myanmar nella propria agenda. Violazioni diffuse e sistematiche delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario, equiparabili a possibili crimini contro l'umanità, sono state perpetrate nel corso di operazioni militari nello stato del Kayin e nella divisione di Bago. Mentre le autorità continuavano a lavorare a una bozza per una nuova costituzione, attivisti venivano sottoposti a pressioni al fine di far loro abbandonare il proprio ruolo all'interno dei partiti politici. Decine di arresti di persone impegnate in attività politiche pacifiche sono continuati durante tutto l'anno così come quelli di persone impegnate in altre attività non violente nel contesto del loro esercizio delle libertà di espressione e di associazione. A fine anno, la maggior parte delle figure di primo piano dell'opposizione erano state imprigionate o detenute in via amministrativa, mentre più di altri 1.185 prigionieri politici continuavano a essere detenuti in condizioni carcerarie sempre peggiori. Sono state almeno due le persone condannate a morte». Nel rapporto di Amnesty international è, inoltre, dedicato un capitolo alla diffusa pratica del lavoro forzato che impone ai prigionieri «di fare da portantini per l'esercito, e gli stessi sarebbero stati sottoposti a torture e ad altre forme di maltrattamenti» -:

quale siano le valutazioni del Governo sui fatti sopra esposti e quali misure intenda adottare a livello comunitario ed internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar, a sostegno della piena applicazione della risoluzione dell'organizzazione internazionale del lavoro del giugno 2000 e delle successive risoluzioni del Parlamento europeo.(3-01194)

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(Misure di livello comunitario e internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar - n. 3-001194)

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-001194, concernente misure di livello comunitario e internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor Ministro, la situazione politica e sindacale dei diritti umani nell'ex Birmania, oggi denominata Myanmar, è sempre più grave e drammatica. Tutti conoscono la vera e propria persecuzione contro Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, da diciassette anni agli arresti domiciliari. Sempre più pesante è, in generale, la feroce repressione contro i dissidenti e gli oppositori politici.
I diritti politici e civili sono ogni giorno calpestati, le risoluzioni dell'ONU e del Parlamento europeo vengono ignorate e nell'ex Birmania si pratica sistematicamente il lavoro forzato. Pochi giorni fa sei giovani sindacalisti sono stati condannati a scontare dai venti ai ventotto anni di carcere per un seminario sui diritti del lavoratore. È quindi necessario che tutta la comunità internazionale, e il Governo italiano in particolare, intervengano in ogni modo in tutte le sedi per garantire il rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e per il ripristino della democrazia nell'ex Birmania.

PRESIDENTE. Il Ministro per rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, ha facoltà di rispondere.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Onorevole Boato, il Governo condivide il suo richiamo all'attenzione e alla preoccupazione. L'Italia sta seguendo con grande attenzione ed apprensione gli sviluppi della vicenda, anche alla luce dei disordine delle ultime settimane e degli arresti di numerosi esponenti dell'opposizione, da lei ricordati.

La Presidenza dell'Unione europea ha diramato, a nome nostro e di tutti i partners europei, un comunicato di condanna che sollecita il rilascio degli attivisti e l'avvio di un dialogo con tutte le componenti della società civile.
Abbiamo anche effettuato, come Governo italiano, proprio in questi giorni, un passo presso l'ambasciata del Myanmar a Roma per esprimere questa preoccupazione e il disappunto per il fallimento della Convenzione nazionale che era stata convocata in agosto. Le attese della comunità internazionale sulla questione birmana sono, in questa fase, legate al mandato del consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari. L'Italia sostiene il mandato di Gambari, di cui condivide l'approccio complessivo che abbraccia tutti gli aspetti della problematica, inclusi i temi dell'aiuto umanitario, dei bambini, dei conflitti armati, della lotta alla droga, dell'educazione, del lavoro forzato e della sanità. La missione di Gambari, del resto, si ispira agli stessi presupposti dell'iniziativa italiana Friends of the Bangkok Process improntata al dialogo critico con la Birmania.
Riteniamo, infatti, che formule come «dialogo critico» possano costituire lo strumento più efficace per tentare di sollecitare la promozione di sviluppi democratici in Myanmar. L'Italia, inoltre, si è costantemente adoperata nell'ambito dell'Unione europea e nelle altre sedi internazionali per la liberazione della signora Aung San Suu Kyi alla vigilia del rinnovo degli arresti domiciliari del marzo scorso e, all'indomani della proroga, l'Unione europea ha espresso la sua condanna invitando il Governo birmano a rilasciare la leader della Lega nazionale per la democrazia e gli altri prigionieri politici.
Nell'ambito delle Nazioni Unite, lo scorso anno, l'Italia ha attivamente concorso alla presentazione da parte dell'Unione europea di una risoluzione su Myanmar, nella quale era stato ottenuto l'inserimento di un esplicito richiamo al lavoro forzato. Come lei credo sappia, purtroppo, il veto di Russia e Cina nel Consiglio di sicurezza impedirono a questa mozione l'effettiva attuazione.
Nel dialogo, infine, con le agenzie internazionali registriamo il confortante esito delle missioni compiute nei mesi scorsi daPag. 65alti funzionari ONU competenti in materia di bambini soldato e aiuto umanitario, nonché gli sviluppi relativi alla cooperazione con l'Organizzazione internazionale del lavoro e, in particolare, la firma, il 27 febbraio scorso, del protocollo di intesa istitutivo di un meccanismo di denuncia che auspichiamo possa costituire un valido strumento nella lotta al lavoro forzato.
Siamo d'accordo con lei perché l'Italia e l'Unione europea vogliono aumentare gli sforzi per lenire le sofferenze del popolo birmano e, quindi, è unanime l'obiettivo di intensificare l'aiuto rivolto alla popolazione. Le assicuro che il Governo continuerà ad impegnarsi per la ricerca di soluzioni che inneschino una dinamica positiva nella questione birmana e favoriscano l'avvio di un autentico processo democratico.

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di replicare.

MARCO BOATO. Signor Presidente, noi del gruppo dei Verdi ringraziamo il Ministro Chiti, che rappresenta in questa sede il Ministero degli esteri, per le valutazioni che ci ha prospettato e per la ricognizione che ha potuto svolgere anche più estesamente riguardo a tutti i drammatici problemi di carattere politico e istituzionale relativi ai lavoratori, al lavoro forzato, alla situazione dei bambini, agli oppositori politici, ai sindacalisti che io stesso sinteticamente avevo ricordato.
Mi permetta solo, signor Ministro, di farle osservare che, a mio parere, l'espressione «dialogo critico» da lei usata - forse per comprensibili ragioni diplomatiche - è tuttavia, da un punto di vista politico, inadeguata. Devo tuttavia riconoscere che i contenuti di quanto lei ha dichiarato sono sicuramente molto forti e condivisibili; del resto, essi riprendono, giustamente, temi già posti da varie organizzazioni: già dal 2000, con una serie di risoluzioni, l'Organizzazione internazionale del lavoro ha posto con assoluta forza tali questioni, poste anche dal Parlamento europeo con le quattordici risoluzioni che si sono succedute in questi anni (l'ultima del 21 giugno 2007); ma mi riferisco anche alle denunce gravissime che il Comitato internazionale della Croce rossa, attraverso il suo Presidente Jacob Kellenberger, ha presentato ancora recentemente, il 19 luglio 2007, nonché alle denunce che sono contenute, da ultimo, nel rapporto internazionale per il 2007 dell'organizzazione Amnesty International che ha denunciato l'intensificarsi della repressione messa in atto in Myanmar, ex Birmania. Credo, inoltre, che vadano anche ricordate le iniziative non solo politiche e governative, ma anche della società civile assunte in Italia; iniziative che, dal maggio 2007, stanno portando avanti CISL, Legambiente, WWF e Greenpeace lanciando una vera e propria campagna per la Birmania; da ultimo, è intervenuta al riguardo anche la trasmissione Alle falde del Kilimangiaro su Raitre.

PRESIDENTE. Deputato Boato, concluda.

MARCO BOATO. Concludo, Presidente. Ho voluto citare anche queste iniziative politiche, sociali e culturali perché l'impegno politico e umano deve essere assunto a tutti i livelli, al fine di ripristinare la democrazia in Myanmar (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e La Rosa nel Pugno).

Atto Camera

Interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01194
presentata da
MARCO
BOATO
martedì 11 settembre 2007 nella seduta n.202


BOATO. -

Al Ministro degli affari esteri.

- Per sapere - premesso che:

nelle ultime due settimane, come riportato da tutti gli organi di stampa internazionali, sempre più numerose e diffuse sono le manifestazioni di protesta in Myanmar (ex Birmania), a favore dei diritti umani e contro la situazione economica del Paese, represse in modo brutale e illegale da bande armate cui l'esercito «delega» il compito di porre sotto silenzio ogni forma di dissenso nei confronti del regime;

fra gli appelli alla comunità internazionale anche in questi giorni assumono particolare rilievo le lettere dal Myanmar del premio Nobel per la pace, signora Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, da oltre diciassette anni isolata dal mondo, nei confronti della quale, - scrive Federico Rampini su La Repubblica del 6 settembre 2007 - la sorveglianza della giunta militare è stata inasprita, impedendole qualsiasi possibilità di incontro;

il caso del Myanmar è in primo piano sia presso gli organismi internazionali, in primo luogo l'Organizzazione delle nazioni unite, sia nel Parlamento italiano, in cui numerose sono le sollecitazioni al Governo affinché assuma ulteriori iniziative;

nella puntata di domenica 8 luglio 2007 del programma televisivo «alle falde del Kilimangiaro» trasmesso su Rai tre, la vicepresidente del partito lega nazionale per la democrazia, Daw San San, in esilio in Thailandia, durante un'intervista ha ribadito e confermato la drammatica situazione politica, sociale e lavorativa della popolazione birmana che per il 30 per cento, circa 15 milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà ed è vittima di spaventosi abusi e di inaudite violenze da parte della giunta militare. A tale denuncia Daw San San ha aggiunto un serio invito a tutti i turisti affinché non si rechino in Myanmar, per evitare di fornire con i proventi del turismo un'ulteriore fonte di profitto economico e di rafforzamento politico del regime;

nel gennaio del 1947, la Birmania ha conquistato l'indipendenza. Dal 1962, a seguito di un colpo di Stato del generale Ne Win, si è instaurato un regime di stampo socialista, guidato da un «consiglio rivoluzionario» di generali dell'esercito. Nel 1988, un altro colpo di Stato delle forze armate ha dato vita ad un regime militare che ha come presidente e primo ministro il generale Saw Maung. Successivamente la Birmania assume la denominazione ufficiale di «Myanmar». Le elezioni politiche indette nel maggio 1990, che avrebbero dovuto legittimare il governo militare, hanno visto la vittoria schiacciante della lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e figlia di Aung San, padre della Birmania indipendente. La giunta militare non ha riconosciuto il risultato elettorale, iniziando una feroce politica di repressione nei confronti degli oppositori politici (Amnesty international per il 2006 denuncia 1.185 prigionieri politici). Il partito della lega nazionale per la democrazia è stato messo fuori legge e Aung San Suu Kyi, dopo alcuni brevi periodi di libertà, ancora oggi si trova agli arresti domiciliari. In questi anni poco è cambiato e, nonostante l'embargo dell'Unione europea sul materiale bellico per il Myanmar deciso nel 1988 e confermato nel 2002 e nel 2006, il Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo alla guida del Paese non ha compiuto passi significativi verso la democrazia;

nel giugno del 2000, con l'ottantottesima sessione, la conferenza generale dell'organizzazione internazionale del lavoro ha approvato una risoluzione che invita i governi, gli imprenditori e i sindacati a rivedere i loro rapporti con il Myanmar e ad adottare tutte le misure necessarie per evitare che il Paese membro possa trarre profitto da questi rapporti per perpetuare o sviluppare il sistema del lavoro forzato. Negli anni successivi, l'organizzazione internazionale del lavoro ha riaffermato e sostenuto la stessa linea d'intervento e le stesse misure nei confronti del Governo birmano e anche di recente, nel marzo 2007 durante la duecentonovantottesima sessione del consiglio direttivo dell'organizzazione internazionale del lavoro, la questione dell'osservanza da parte del Myanmar della convenzione n. 29 del 1930 sul lavoro forzato è stato oggetto di discussione e di dibattito;

nel maggio 2007, le organizzazioni Cisl, Legambiente, Wwf e Greenpeace hanno promosso la «campagna Birmania» e lanciato un appello per la liberazione di Aung San Suu Kyi e per la difesa dei diritti umani, sindacali, della democrazia, dell'ambiente di questo Paese dove «centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sono tutt'ora costretti al lavoro forzato, da parte sia dei militari, sia delle autorità locali e sono spesso obbligati alle deportazioni forzate, mentre sono comuni la detenzione e le esecuzioni, torture, stupri, utilizzati come mezzo di potere». L'appello è rivolto, in particolare «alle imprese italiane che hanno rapporti commerciali con la Birmania e alle multinazionali impegnate nel settore forestale, petrolifero, del gas e minerario, nei progetti di costruzione di dighe ed infrastrutture, che comportano ingenti profitti per il regime, la violazione dei diritti umani, sindacali, ambientali» affinché provvedano a «sospendere i loro rapporti con questo Paese, per non contribuire a rafforzare il potere della giunta, che continua ad utilizzare il lavoro forzato e la devastazione ambientale come fonte di potere;

il 21 giugno 2007, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Birmania, la quattordicesima dal 2000 ad oggi, che «condanna la repressione incessante e la persecuzione continua perpetrata dallo State Peace and Development Council nei confronti del popolo birmano» e «invita le industrie che investono in Birmania ad assicurare che i loro progetti siano realizzati nel rispetto dei diritti umani effettivi e, in caso di abuso di tali diritti, a sospendere l'attività nel Paese; esprime il proprio disappunto dinanzi al fatto che taluni Paesi abbiano ritenuto opportuno aumentare sostanzialmente gli investimenti in Birmania, nonostante la disastrosa situazione dei diritti umani nel Paese»;

il 19 luglio 2007, il presidente del comitato internazionale della Croce rossa, Jacob Kellenberger, ha denunciato, attraverso diverse agenzie di stampa, gravi violazioni dei diritti umani nell'ex Birmania e in particolare ha fatto riferimento al lavoro forzato a cui migliaia di detenuti sono costretti dalle forze armate birmane. Inoltre il Myanmar dalla fine del 2005 ha vietato al comitato internazionale della Croce rossa le visite indipendenti nelle carceri, limitando così l'apporto determinante delle organizzazioni umanitarie negli istituti di pena;

Amnesty international, nel rapporto annuale 2007, riporta notizie allarmanti sul Myanmar e denuncia che per il 2006 «la situazione dei diritti umani si è deteriorata nel corso dell'anno, con l'intensificarsi della repressione messa in atto in tutto il Paese dalle autorità nei confronti sia dell'opposizione armata sia degli oppositori politici pacifici. Il Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle nazioni unite ha inserito il Myanmar nella propria agenda. Violazioni diffuse e sistematiche delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario, equiparabili a possibili crimini contro l'umanità, sono state perpetrate nel corso di operazioni militari nello stato del Kayin e nella divisione di Bago. Mentre le autorità continuavano a lavorare a una bozza per una nuova costituzione, attivisti venivano sottoposti a pressioni al fine di far loro abbandonare il proprio ruolo all'interno dei partiti politici. Decine di arresti di persone impegnate in attività politiche pacifiche sono continuati durante tutto l'anno così come quelli di persone impegnate in altre attività non violente nel contesto del loro esercizio delle libertà di espressione e di associazione. A fine anno, la maggior parte delle figure di primo piano dell'opposizione erano state imprigionate o detenute in via amministrativa, mentre più di altri 1.185 prigionieri politici continuavano a essere detenuti in condizioni carcerarie sempre peggiori. Sono state almeno due le persone condannate a morte». Nel rapporto di Amnesty international è, inoltre, dedicato un capitolo alla diffusa pratica del lavoro forzato che impone ai prigionieri «di fare da portantini per l'esercito, e gli stessi sarebbero stati sottoposti a torture e ad altre forme di maltrattamenti» -:

quale siano le valutazioni del Governo sui fatti sopra esposti e quali misure intenda adottare a livello comunitario ed internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar, a sostegno della piena applicazione della risoluzione dell'organizzazione internazionale del lavoro del giugno 2000 e delle successive risoluzioni del Parlamento europeo.(3-01194)

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(Misure di livello comunitario e internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar - n. 3-001194)

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-001194, concernente misure di livello comunitario e internazionale per la difesa dei diritti umani e sindacali in Myanmar

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor Ministro, la situazione politica e sindacale dei diritti umani nell'ex Birmania, oggi denominata Myanmar, è sempre più grave e drammatica. Tutti conoscono la vera e propria persecuzione contro Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, da diciassette anni agli arresti domiciliari. Sempre più pesante è, in generale, la feroce repressione contro i dissidenti e gli oppositori politici.
I diritti politici e civili sono ogni giorno calpestati, le risoluzioni dell'ONU e del Parlamento europeo vengono ignorate e nell'ex Birmania si pratica sistematicamente il lavoro forzato. Pochi giorni fa sei giovani sindacalisti sono stati condannati a scontare dai venti ai ventotto anni di carcere per un seminario sui diritti del lavoratore. È quindi necessario che tutta la comunità internazionale, e il Governo italiano in particolare, intervengano in ogni modo in tutte le sedi per garantire il rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e per il ripristino della democrazia nell'ex Birmania.

PRESIDENTE. Il Ministro per rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, ha facoltà di rispondere.

VANNINO CHITI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Onorevole Boato, il Governo condivide il suo richiamo all'attenzione e alla preoccupazione. L'Italia sta seguendo con grande attenzione ed apprensione gli sviluppi della vicenda, anche alla luce dei disordine delle ultime settimane e degli arresti di numerosi esponenti dell'opposizione, da lei ricordati.

La Presidenza dell'Unione europea ha diramato, a nome nostro e di tutti i partners europei, un comunicato di condanna che sollecita il rilascio degli attivisti e l'avvio di un dialogo con tutte le componenti della società civile.
Abbiamo anche effettuato, come Governo italiano, proprio in questi giorni, un passo presso l'ambasciata del Myanmar a Roma per esprimere questa preoccupazione e il disappunto per il fallimento della Convenzione nazionale che era stata convocata in agosto. Le attese della comunità internazionale sulla questione birmana sono, in questa fase, legate al mandato del consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari. L'Italia sostiene il mandato di Gambari, di cui condivide l'approccio complessivo che abbraccia tutti gli aspetti della problematica, inclusi i temi dell'aiuto umanitario, dei bambini, dei conflitti armati, della lotta alla droga, dell'educazione, del lavoro forzato e della sanità. La missione di Gambari, del resto, si ispira agli stessi presupposti dell'iniziativa italiana Friends of the Bangkok Process improntata al dialogo critico con la Birmania.
Riteniamo, infatti, che formule come «dialogo critico» possano costituire lo strumento più efficace per tentare di sollecitare la promozione di sviluppi democratici in Myanmar. L'Italia, inoltre, si è costantemente adoperata nell'ambito dell'Unione europea e nelle altre sedi internazionali per la liberazione della signora Aung San Suu Kyi alla vigilia del rinnovo degli arresti domiciliari del marzo scorso e, all'indomani della proroga, l'Unione europea ha espresso la sua condanna invitando il Governo birmano a rilasciare la leader della Lega nazionale per la democrazia e gli altri prigionieri politici.
Nell'ambito delle Nazioni Unite, lo scorso anno, l'Italia ha attivamente concorso alla presentazione da parte dell'Unione europea di una risoluzione su Myanmar, nella quale era stato ottenuto l'inserimento di un esplicito richiamo al lavoro forzato. Come lei credo sappia, purtroppo, il veto di Russia e Cina nel Consiglio di sicurezza impedirono a questa mozione l'effettiva attuazione.
Nel dialogo, infine, con le agenzie internazionali registriamo il confortante esito delle missioni compiute nei mesi scorsi daPag. 65alti funzionari ONU competenti in materia di bambini soldato e aiuto umanitario, nonché gli sviluppi relativi alla cooperazione con l'Organizzazione internazionale del lavoro e, in particolare, la firma, il 27 febbraio scorso, del protocollo di intesa istitutivo di un meccanismo di denuncia che auspichiamo possa costituire un valido strumento nella lotta al lavoro forzato.
Siamo d'accordo con lei perché l'Italia e l'Unione europea vogliono aumentare gli sforzi per lenire le sofferenze del popolo birmano e, quindi, è unanime l'obiettivo di intensificare l'aiuto rivolto alla popolazione. Le assicuro che il Governo continuerà ad impegnarsi per la ricerca di soluzioni che inneschino una dinamica positiva nella questione birmana e favoriscano l'avvio di un autentico processo democratico.

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di replicare.

MARCO BOATO. Signor Presidente, noi del gruppo dei Verdi ringraziamo il Ministro Chiti, che rappresenta in questa sede il Ministero degli esteri, per le valutazioni che ci ha prospettato e per la ricognizione che ha potuto svolgere anche più estesamente riguardo a tutti i drammatici problemi di carattere politico e istituzionale relativi ai lavoratori, al lavoro forzato, alla situazione dei bambini, agli oppositori politici, ai sindacalisti che io stesso sinteticamente avevo ricordato.
Mi permetta solo, signor Ministro, di farle osservare che, a mio parere, l'espressione «dialogo critico» da lei usata - forse per comprensibili ragioni diplomatiche - è tuttavia, da un punto di vista politico, inadeguata. Devo tuttavia riconoscere che i contenuti di quanto lei ha dichiarato sono sicuramente molto forti e condivisibili; del resto, essi riprendono, giustamente, temi già posti da varie organizzazioni: già dal 2000, con una serie di risoluzioni, l'Organizzazione internazionale del lavoro ha posto con assoluta forza tali questioni, poste anche dal Parlamento europeo con le quattordici risoluzioni che si sono succedute in questi anni (l'ultima del 21 giugno 2007); ma mi riferisco anche alle denunce gravissime che il Comitato internazionale della Croce rossa, attraverso il suo Presidente Jacob Kellenberger, ha presentato ancora recentemente, il 19 luglio 2007, nonché alle denunce che sono contenute, da ultimo, nel rapporto internazionale per il 2007 dell'organizzazione Amnesty International che ha denunciato l'intensificarsi della repressione messa in atto in Myanmar, ex Birmania. Credo, inoltre, che vadano anche ricordate le iniziative non solo politiche e governative, ma anche della società civile assunte in Italia; iniziative che, dal maggio 2007, stanno portando avanti CISL, Legambiente, WWF e Greenpeace lanciando una vera e propria campagna per la Birmania; da ultimo, è intervenuta al riguardo anche la trasmissione Alle falde del Kilimangiaro su Raitre.

PRESIDENTE. Deputato Boato, concluda.

MARCO BOATO. Concludo, Presidente. Ho voluto citare anche queste iniziative politiche, sociali e culturali perché l'impegno politico e umano deve essere assunto a tutti i livelli, al fine di ripristinare la democrazia in Myanmar (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e La Rosa nel Pugno).