Birmania-Vaticano, si preparano le relazioni diplomatiche
A caldeggiarle è il cardinale Bo chevede la strada spianata nell’Anno giubilare e ne ha già parlato alla leader Aung San Suu Kyi
roma
 

 Molti lo vedono come frutto di un lungo cammino, ripreso a piccoli passi dal 1993, quando al missionario italiano Igino Mattarucco fu consentito di rientrare e soggiornare in terra birmana, dopo oltre 25 anni di black-out. Oggi la strada verso le piene relazioni diplomatiche tra Birmania e Santa Sede sembra spianata: lo afferma a chiare lettere il Cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, che vede nell’imminente formazione del nuovo governo democraticamente eletto una storica opportunità per annodare un filo che da anni la Chiesa locale desiderava intessere. 

 Il kairòs, il «momento di grazia», come lo considera il card. Bo, giunge nell’Anno giubilare della misericordia, 50 anni dopo quel fatidico 1965-66, quando il regime impose la nazionalizzazione delle chiese cattoliche, di scuole, ospedali e proprietà, allontanando dal paese 239 missionari cattolici e altre centinaia di protestanti.  

Solo dieci anni prima, nel 1954, la Birmania aveva accolto il primo vescovo autoctono, mons. U Win, e l’anno dopo la Santa Sede aveva instaurato la gerarchia locale, con la formazione di due province ecclesiastiche, Rangoon e Mandalay. 

Il Vangelo era giunto almeno due secoli prima: la prima missione organizzata in Birmania risale al 1700, affidata dalla Santa Sede ai padri barnabiti prima e poi, un secolo dopo, ai religiosi delle Missioni Estere di Parigi (MEP) e del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime). 

 L’interruzione di quel cammino si era verificata negli anni ’60 del secolo scorso, con il colpo di stato del generale Ne Win e il tentativo di instaurare «la via birmana verso il socialismo», che generò l’ondata di nazionalizzazioni e confische a danno delle comunità cristiane.  

Ma, a partire dal 1993, la comunità cattolica ha potuto gradualmente riprendere la sua vita e le opere pastorali. E oggi, anche grazie all’opera dei catechisti laici, è una comunità viva, sia pur sempre piccola minoranza di 500mila fedeli, l’1% della popolazione complessiva. 

 Terminato il periodo della giunta militare al potere, e con la nuova stagione politica ormai realtà, il cardinale Charles Bo, primo Porporato nella storia birmana, nominato da Papa Francesco tra le «chiese di periferia», vede dunque con fiducia l’insediamento del nuovo governo democratico, guidato dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito della premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, 

 Secondo le previsioni, il nuovo esecutivo dovrebbe essere in carica all’inizio di aprile. Nei giorni in cui circolano indiscrezioni sul fatto che il noto articolo 50 della Costituzione – che impedisce alla donna di diventare presidente, eredità della vecchia giunta militare – potrebbe essere sospeso, spalancandole le porte della presidenza, Bo ha ricordato di aver parlato già con lei del possibile allaccio di relazioni diplomatiche tra Birmania e Vaticano. Trovando «pieno sostegno nella leader», come ha spiegato in una recente intervista all’agenzia Eglises d’Asie.  

 Depone bene, a tal proposito, che Aung San Suu Kyi abbia incontrato Papa Francesco nell’ottobre del 2013 in Vaticano, restando favorevolmente impressionata dal faccia a faccia con Bergoglio.  

Lo scambio di ambasciatori – mentre oggi la Birmania è cura di un Delegato apostolico vaticano residente a Bangkok – potrebbe generare un netto miglioramento dello status giuridico per la Chiesa birmana e contribuire ulteriormente alla sua crescita e stabilizzazione nel paese.  

 La Chiesa – ha spiegato Bo – chiede più libertà nella sua opera di evangelizzazione, a partire dal delicato settore dell’istruzione: «Il sistema educativo nazionale oggi è centralizzato. La Chiesa desidera gestire scuole e chiede al governo il permesso ufficiale per costruire chiese e conventi. Speriamo di ottenere la parità di trattamento di tutte le religioni», ha spiegato.  

Un altro tra i desiderata espressi dal cardinale è riavere le scuole nazionalizzate e confiscate nel 1962, una cinquantina di istituti. Pur non essendo espressamente incluso nel programma di governo della Lega, Bo si mostra ottimista in quanto «Aung San Suu Kyi ha detto che avrebbe ascoltato i leader religiosi. Sono certo che le nostre proposte e raccomandazioni saranno ascoltate e recepite». 

Tuttavia,la priorità, riconosce Bo, è la riconciliazione nazionale e la pacificazione del paese, premessa per lo sviluppo economico, sociale e culturale della popolazione. Un’esigenza, quella di pace, giustizia e armonia, che precede anche le legittime aspettative della Chiesa.