Pubblichiamo un importante articolo di Bertil Lintner apparso su Terre Sotto Vento.
Terresottovento -
In seguito
alle elezioni farsa in Birmania e alla prossima apertura delle Camere in
Birmania, in seguito anche alla liberazione dal anni di carcere domiciliare
dell'icona birmana della democrazia, Aung San Suu Kyi, ci sono state molte
dichiarazioni in cui si chiede l'alleggerimento se non addirittura la revoca delle
sanzioni economiche e finanziarie da parte degli USA, del Canada e della Unione
Europea.
Tra le voci più autorevoli è quella dell'ASEAN, il blocco di nazioni del sudest
asiatico, che dopo la riunione nell'isola di Lombok ha chiesto la revoca delle
sanzioni contro la Birmania in virtù di un chiaro cambiamento del regime
birmano in direzione democratica. Ci sono, però, molte voci che non sono
d'accordo e che dicono che in realtà non molto è cambiato e non cambierà nel
futuro, anche perché le sanzioni e il loro effetto sono di molto indebolite
dalle politiche di molti stati dell'ASEAN, oltre che dalla Cina e India.
Presentiamo qui un commento di Bertil Lintner.
Se è vera
l'affermazione di Carlo Marx secondo cui la storia si ripete prima come
tragedia e poi come farsa, Myanmar è appena entrata, forse, in una fase
farsesca del suo duraturo governo militare. La prima elezione generale tenuta
lo scorso novembre dopo venti anni e l'annuncio che una nuova assemblea
nazionale sarà convocata il 31 gennaio non hanno tanto eccitato molti cittadini
ordinari birmani, quanto hanno creato le più varie speculazioni tra gli esperti
stranieri su quello che significa per il futuro della nazione.
Sembra che molti abbiano dimenticato che una simile
“transizione” verso un “governo di civili” sia avvenuto nel 1974 in seguito ad un
referendum manipolato su una nuova costituzione del 1973. La giunta al potere
del tempo, il Consiglio Rivoluzionario, fece da apripista al Program Party
della Birmania Socialista controllata dai militari che formò un governo
costituito da militari in congedo.
In retrospettiva la transizione fu una
tragedia poiché congelò il sistema a partito unico, che Myanmar, allora nota
come Birmania, aveva già, e precipitò il declino economico in quella che prima
era conosciuta come la nazione più prospera del sudest asiatico.
La
costituzione del 1974 garantì la presa del potere da parte dei militari e rese
legale il putsch militare del 1962. Quella configurazione politica dominata dai
militari durò fino all'insurrezione nazionale per la democrazia, scoppiata nel
1988, che i militari soffocarono con la forza, e nel dopo fu reintrodotto il
governo militare diretto attraverso la giunta dello SLORC (Consiglio di
restaurazione della Legge dello stato e dell'ordine).
Lo SLORC, in seguito,
cambiò il nome della nazione da Birmania a Myanmar e si rinominò in Consiglio
della pace e dello sviluppo dello stato nel 1997.
Ora sotto una nuova costituzione, che è stata adottata dopo un
referendum molto ben orchestrato nel 2008, sono ammessi ufficialmente in
Birmania più di un partito politico. Ma il dominio del partito dei militari, il
nuovo USDP, che ha conquistato più dell'ottanta per cento dei seggi nelle
elezioni truffa di novembre, è completo.
La nuova costituzione riserva il 25 %
dei seggi nell'assemblea nazionale ai militari.
Cionondimeno i militari non lasciano nulla al caso. Nella
campagna elettorale e nel dopo elezioni, i candidati e i parlamentari eletti
sono stati limitati fortemente nella loro libertà di espressione.
Qualunque
discorso che sia considerato dalle autorità come una minaccia “alla sicurezza
nazionale, all'unità della nazione e alla costituzione” è buono per far
precipitare chi l'ha pronunciato nelle patrie prigioni anche per due anni.
In un numero della fine di dicembre del giornale New Light of
Myanmar l'intenzione dei militari è stata espressa ancora più chiaramente:
l'opposizione dovrebbe smetterla di chiedere “la riconciliazione nazionale” e
dovrebbe, invece, sostenere il governo per raggiungere “il consolidamento
nazionale”. Il giornale ha affermato: “Approcci diretti o indiretti, fatti per
controllare il governo al potere, non si realizzeranno mai ”.
Nonostante queste restrizioni, alcuni analisti manifestano la
speranza di un cambiamento democratico. Il già ambasciatore inglese in
Birmania, Derek Tonkin, in maniera farsesca suggeriva nella sua newsletter che
“le elezioni per quanto truccate, potrebbero servire da catalizzatore”
Esattamente per cosa non lo ha mai detto chiaramente.
Priscilla Clapp, un altro analista americano e diplomatico
statunitense a Yangoon, sembra convinta che un rimescolamento dei militari
qualche mese prima delle elezioni, per cui più di 70 ufficiali anziani e
giovani sono andati in pensione per poter partecipare alle elezioni stesse,
libererà la strada ad una generazione nuova e, presumibilmente più disponibile alla
riforma, di ufficiali militari. E con i “civili” al governo cambia l'aria.
Che gli
ufficiali abbandonassero o prendessero l'uniforme non fece alcuna differenza
nel 1974 e lo è ancor meno oggi considerata la morsa di ferro che i militari
hanno sul potere. Né poche voci mute dell'opposizione nell'assemblea nazionale
saranno di un qualche significato democratico. Nella vecchia assemblea, prima
del 1988, i media di regime regolarmente riportavano che i delegati
“discutevano a sostegno delle proposte” presentate dagli effetti governanti
della nazione.
Se qualcuno del pugno di deputati osasse sfidare gli ordini
militari, le autorità avrebbero i mezzi costituzionali per affrontare tale
dissenso, compreso un sopravvento legale dell'esercito.
In caso di “emergenza
nazionale”, l'articolo 413 della nuova carta dà al Presidente della Repubblica
il diritto di passare il potere esecutivo come quello giudiziario al comandante
in capo dei servizi di difesa che “possono esercitare i detti poteri e i
compiti o dare potere ad una autorità militare adatta” per fare il suo lavoro.
La nuova assemblea nazionale sarà fatta di una Camera Alta di
168 eletti e 56 riservati ai militari, ed una Camera Bassa con 330 eletti e 110
posti ai militari. Con una solida maggioranza di 129 voti nella camera alta e 259 in quella bassa che
l'USDP ha raggiunto con le elezioni farsa di novembre , più il 25% dei posti
riservati ai militari, il nuovo sistema assicurerà in modo legale la
continuazione del vecchio ordine militare.
Vicini negligenti
Le altre nazioni dell'ASEAN hanno salutato le elezioni come un
passo in avanti e chiesto alle nazioni occidentali, compreso gli USA, di
abbandonare le sanzioni economiche e finanziarie. In una sessione dell'ASEAN a
Lombok il 17 gennaio, il ministro degli esteri, ministro del paese ospitante
Indonesia , Marty Natalegawa, ha descritto le elezioni come “utili e
trasparenti” e ha detto che il blocco delle dieci nazioni vorrebbe vedere
“l'immediata o prossima rimozione o un alleggerimento delle sanzioni che sono state
applicate contro Myanmar da alcune nazioni”.
Molte nazioni dell'ASEAN hanno interessi forti in Birmania e,
attraverso politiche di ingaggio, hanno nel corso degli anni minato il regime
delle sanzioni occidentali.
Nel frattempo, non ci sono molte indicazioni che la classe
politica birmana si trovi in uno stato d'animo democratico. Il generale capo
Than Shwe, durante una cerimonia al Defence Services Technological academy del
17 dicembre, diceva ai graduanti che “vi potete confrontare con tutti e vincere
se evitate i punti forti di chi vi si oppone, sfruttare i loro punti deboli e
colpire”
La classe militare nel suo completo ha fatto proprio chiaramente
quel suggerimento. Il punto forte dell'opposizione è l'icona democratica Aung
San Suu Kyi, incarcerata e impossibilitata dal regime a partecipare alle
elezioni, per essere poi rilasciata una settimana dopo le stesse. La debolezza
della sua opposizione è la sua mancanza di unità: il partito di Aung San Suu
Kyi, National league for Democracy, si è diviso in due sulla scelta di non
partecipare alle elezioni.
Forse quelli che parteciparono alle elezioni ora si pentono
della scelta; il nuovo National Democratic Front, creato da fuoriusciti del
NLD, ha appena 16 seggi in entrambe le Camere. In modo prevedibile i membri
dell'NDF sono entrati in competizione su campi di gioco ineguali. Secondo varie
testimonianze in vari seggi, a Yangoon come in altre parti, dove sembrava
primeggiare un candidato non appartenente all'USDP si portatavano nel seggio
urne con “voti anticipati” per impedire la sua vittoria. In altre parti dove
USDP sembrava andare male la conta dei voti è stata fatta in segreto.
L'opinione si è anche divisa in nazioni di solito critiche del
regime birmano.
Negli USA il senatore Jim Webb, un tempo uno dei più critici
del regime, ha cambiato radicalmente opinione per divenire un solido difensore
della revoca delle sanzioni e della politica di ingaggio del regime. Nella
Unione Europea, molte nazioni stanno già facendo affari con la Birmania
nonostante le sanzioni.
Nell'edizione dicembrina del The Myanmar Times si
citano delle affermazioni di Myint Soe della federazioni delle camere di
commercio e dell'industria che diceva: “Tra le nazioni europee la Germania è
una delle più grandi nostri partner anche con le sanzioni”. E le sanzioni non
limitano investimenti preesistenti nell'industria estrattiva dove la Total
francese fa la parte del leone.
Si sentono ora pareri in altre nazioni europee, specie tra
quelle che hanno inviati di base a Bangkok, che invocano una politica che
affronti il regime secondo la percezione che decenni di sanzioni non sono stati
utili ad ottenere un cambio democratico, opinione che non tiene conto che anche
le politiche di ingaggio delle altre nazioni hanno registrato un simile
fallimento politico.
L'ASEAN, da lungo tempo, affronta Myanmar con iniziative
commerciali e di investimento.
Comunque in un cablogramma americano pubblicato
da Wikileaks a dicembre il ministro mentore di Singapore, Lee Kuan Yew,
descriveva i generali di Myanmar come “stupidi” e “difficili da trattare”.
Trattare col regime, diceva Lee Kuan Yew, era come parlare con i morti: una
stroncatura della “politica costruttiva” da parte di uno dei dirigenti più
fortemente orientati agli affari della regione.
Visto sotto questa luce, la tragedia iniziale del 1974 in Birmania è
diventata una farsa nel 2010. Di fatto il vecchio regime ad un solo partito è
stato reintrodotto in tutto tranne che nel nome. Come garantiscono le nuove
regole, alcune voci di opposizione faranno poca differenza sotto la nuova
amministrazione dominata dai militari.
Persino gli stati autoritari come Cina e
Corea del Nord sono formalmente dei sistemi multipartito sotto la direzione dei
dirigenti di fatto comunisti; la Cina ha otto partiti oltre al dominante PCC
mentre la Corea del Nord ne permette tre. Simili paragoni sono più adatti delle
sperate speculazioni per cui le elezioni birmane e il nuovo parlamento
rappresentino un genuino cambiamento democratico.
(Leggi l'articolo nell'originale in inglese su Asia Times Online)
(26 Gennaio 2011)