10/11/2009
Si comincia a confiscare la terra per l’oleodotto – Articolo di Khaing Su & Mungpi
Mizzima – I residenti della provincia di Kyuakphya, nello Stato dell’Arakan, nella Birmania Occidentale, hanno riferito che le autorità non hanno pagato alcuna compensazione, nonostante le assicurazioni in tal senso, per i 150 acri di terra coltivabile sequestrati a Maggio.           

Un residente del villaggio di Malakyum ha detto a Mizzima che la terra è stata sequestrata dalle autorità con la scusa del cantiere per il Terminal petrolifero, con la promessa di ricevere sostanziosa compensazione.


Vignetta - Oil and Gas Pipeline
"Si chiamano danni collaterali" - Vignetta di Harn Lay
(apparsa su The Irrawaddy il 4 Settembre 2009)


“Le autorità ci hanno fatto firmare un accordo. L’accordo stabiliva nei dettagli le forme di compensazione che avremmo ricevuto. Ma da quel momento non c’è stata traccia di nessuna forma di compensazione” ha detto un altro abitante del posto a Mizzima.                 

Secondo lo stesso abitante, le autorità hanno cominciato a gettare le fondamenta del Terminal sui terreni in cui gli abitanti del posto erano soliti coltivare il cocco.            

“Per alcuni di noi, la terra significa tutto, dal momento che non c’è altra terra da coltivare” ha continuato l’intervistato.                   

Mentre la gente del posto potrebbe vedere la confisca della terra come un’altra pratica normale nella Birmania comandata da un regime militare, la China National Petroleum Corporation (CNPC) il 3 Novembre ha annunciato di avere iniziato nell’area i lavori di costruzione per l’oleodotto e il gasdotto.            

Lo Shwe Gas Movement, un gruppo di attivisti che monitora le attività di esplorazione di gas e petrolio nello Stato dell’Arakan, conferma che la CNPC è pronta a costruire un terminal per il gas e il petrolio proprio nella provincia di Kyuakphyu.                 

La progettata doppia pipeline (gas e petrolio) verrà connessa con i Terminal. Mentre il gasdotto trasporterà il Gas dal bacino Shwe, un’area offshore di fronte allo Stato dell’Arakan, l’oledotto trasporterà il petrolio che arriverà dal Medio Oriente e dall’Africa verso la provincia cinese dello Yunnan.              

“Molte persone sono disperate per la loro terra confiscata ma altri sperano che l’energia arrivi anche qui e ci porti l’elettricità”, ha detto a Mizzima un funzionario governativo.                 

Tuttavia, lo Shwe Gas Movement ha dichiarato che la CNPC ha ottenuto i diritti esclusivi per il gas prodotto dal bacino Shwe, rendendo di fatto vane le speranze degli abitanti del posto.                   

Alla società che opera nel bacino Shwe, partecipano le coreane Daewoo e Korea Gas Corporation (KOGAS), le indiane Oil and Natural Gas Corporation (ONGC) e Gas Authority of India Limited (GAIL) e la birmana Myanmar Oil and Gas Enterprise (MOGE).              

Ad oggi, la provincia di Kyaukphyu riceve elettricità dalle 6 alle 9 di sera per sei giorni consecutivi. Il settimo giorno niente fornitura.             

Gli attivisti dicono che i Terminal e le pipeline non aiuteranno gli abitanti del posto, perché il regime ha accettato di vendere gas alla Cina per i prossimi 30 anni con un ritorno totale di 30 miliardi di dollari americani.               

Wong Aung, un membro dello Shwe Gas Movement, ha detto: “Il progetto non beneficerà in alcun modo la gente del posto, perché non creerà posti di lavoro. Nonostante vari abusi, le imprese tessili possono dare lavoro, ma un progetto energetico non offre niente di tutto questo”                 

Wong Aung ha anche aggiunto che la progettata pipeline, che si stima percorrerà 900 km dentro la Birmania, porterà con sé numerose violazioni dei diritti umani.              

“Ci saranno ancora confische di terre, lavoro forzato, e molte altre gravi violazioni dei diritti umani a mano a mano che la Giunta prepara il terreno per la pipeline” ha aggiunto Wong Aung.                

Prevedendo queste terribili violazioni, il gruppo di Wong Aung insieme a parecchie altre organizzazioni ambientaliste ha inviato un appello a Hu Jintao, Presidente cinese, per fermare il progetto.



(Puoi leggere l'articolo in originale su Mizzima)


(10 Novembre 2009)
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